martedì 3 luglio 2018
Europa in crisi, Europa in agonia, Europa a rischio disintegrazione. All'indomani del vertice dei capi di Stato e di governo di Bruxelles che segna un'altra tappa deludente nel sempre più impervio cammino dell'Unione, si cercano affannosamente nuove idee, ci si interroga su come salvare il salvabile di un edificio che ha dato comunque frutti senza precedenti di benessere e di pace a centinaia di milioni di persone. Ma come in ogni momento cruciale per la vita di qualunque istituzione o sodalizio umano, la scelta giusta può venire soltanto dal ritorno alle radici comuni, alle sorgenti che hanno alimentato le scelte iniziali.
Tra di esse figura certamente il popolarismo, forse il principale e più fecondo ideale fondativo dell'Europa unita, a sua volta maturato all'interno della riflessione sociale e politica ispirata dal cristianesimo. Per chi lo volesse, non mancheranno certo le occasioni di attingervi nuova linfa. In Italia ad esempio, ma anche a Londra e a Parigi e in altre sedi, sta per aprirsi una finestra celebrativa amplissima, grazie all'imminente centenario della nascita del Partito Popolare (18 gennaio 1919) e al 60° anniversario della morte del suo fondatore don Luigi Sturzo (l'8 agosto successivo). Se ne parlerà in maniera approfondita dopodomani all'Istituto Sturzo, dove il presidente Nicola Antonetti e lo storico Francesco Malgeri presenteranno un nutrito programma di attività e di iniziative, anche in sede internazionale. Con l'esplicito obiettivo non solo di celebrare e fare memoria, ma anche di contribuire all'attualizzazione del popolarismo, sia in ambito italiano che europeo.
Perché ci sarà stato pure un motivo se il tedesco Konrad Adenauer, la sera dopo la firma in Campidoglio del Trattati di Roma, il 25 marzo 1957, invece di recarsi al Quirinale per i festeggiamenti di rito, compì una lunga visita di omaggio e di ringraziamento al senatore a vita Luigi Sturzo, presso il convento delle Suore Canossiane di via Orione dove abitava. Uno dei "padri fondatori" dell'odierna Ue intendeva così riconoscere il contributo inestimabile di pensiero e di spinta etica che l'anziano sacerdote siciliano aveva dato in tempi più lontani al traguardo tagliato in quella circostanza.
Già nel 1928, Sturzo scriveva infatti dall'Inghilterra che «gli Stati Uniti d'Europa non sono un'utopia, ma soltanto un ideale a lunga scadenza con varie tappe e molte difficoltà». Ignaro ovviamente della tempesta bellica che avrebbe imperversato di lì a una decina d'anni, e con una lungimiranza che i fatti avrebbero attestato, aggiungeva che occorreva anzitutto «procedere a una revisione doganale», per preparare «una unione economica con graduale sviluppo, fino a poter sopprimere le barriere interne. Il resto verrà in seguito».
Purtroppo "il resto" che ha fatto seguito all'iniziale "mercato comune" non è sempre stato
così entusiasmante come ci si aspettava. Domina oggi la delusione e lo scetticismo sulla possibilità di riprendere il cammino. Ma la ragione sta nel non aver ascoltato un altro illuminante monito dello statista di Caltagirone, datato 1948: «Le federazioni non si fanno sulla carta, debbono nascere da interessi morali e materiali secondo lo sviluppo storico di ciascuna di esse, lo standardismo non è applicabile al caso».
Domandiamoci se non sia proprio questa voglia di uniformità, di regolamentare tutto, dell'imporre riforme all'insegna dello slogan "l'Europa ce lo chiede" (aldilà della giusta disciplina finanziaria e del rispetto delle regole basilari della democrazia), ad aver disamorato tanti europei e soprattutto tanta parte di quell'Italia che fino a pochissimi anni fa primeggiava in afflato europeista. E ora, volendo guardare avanti, tutti i leader dovrebbero meditare un altro invito sturziano, rievocato anche da Pierluigi Castagnetti in una pubblicazione di alcuni anni fa: quello di «tener conto del mondo spiritualmente e storicamente diverso che è nel sud che bagna le sponde del Mediterraneo». Crisi migratoria docet.
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