venerdì 9 marzo 2018
Sono numerosi i gesti che realizziamo, in ogni situazione, grande e piccola, pubblica e privata, ma pochi quelli in grado di ottenere un esito soddisfacente. Molte delle nostre azioni sembrano buchi nell'acqua, oppure tentativi sbagliati, se non addirittura inutili e dannosi. Sì, ma come si misura l'efficacia di una pratica umana?
Tutto dipende dal criterio che adottiamo. Se mettiamo al primo posto il "successo", inteso non come gloria ma quale riuscita, avremo vittorie e sconfitte, in base alle nostre capacità individuali. Potremo essere stati bravi o negligenti, capaci o non pronti. Ciò che avremo ottenuto o mancato potrà essere verificato secondo sistemi legati a valori economici, sportivi, scolastici, morali e sociali. In tali evenienze, negative ma anche positive, sentiremo sempre un vuoto successivo alla prestazione: un sentimento di inadeguatezza e mortificazione dopo il fallimento; una speciale inquietudine se ci avranno appuntato la classica medaglia sul petto. Perfino in quest'ultimo caso, siamo onesti con noi stessi, dovremo ammettere di aver sperimentato la solitudine del campione. Ma l'uomo veramente libero è quello che riesce a superare la schiavitù del risultato. Conta solo l'esperienza che riusciamo a fare degli altri, non ciò che essi pensano di noi.
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