giovedì 23 novembre 2017
Qualche tempo fa ho trattato l'importanza dell'educazione nella società umana, che, senza dubbio, può condurre i cittadini alla virtù molto meglio che tutte le leggi e i decreti dello stato, quando s'insinua nell'animo e vi pone radici stabili. A tal proposito s'inserisce l'ammonimento d'Isocrate: cioè che questa virtù origina da una lunga meditazione che, come dice Pericle, attenua la smodata imprudenza degli uomini, trasfondendo nei loro cuori saggezza e temperanza. Tuttavia a nessuno è concesso di conseguir tale virtù attraverso insegnamenti stereotipati e immutabili: essa, infatti, alla stregua d'un seme, può crescere e prosperare, finché trasformiamo gli esempi dei nostri predecessori nella nostra stessa linfa vitale, confrontando con loro ciò che quotidianamente osserviamo e viviamo e ripercorrendo la storia del nostro e degli altri popoli. Infatti, come ricorda lo stesso Livio, è utile, nella storia, riprendere e imitare ciò che può giovare a noi e alla nostra società, ed evitare ciò che è turpe e nocivo. Ché se Isocrate, nell'Evagora, ci insegna che gli esempi degli antichi non hanno una maggiore influenza a formare gli animi rispetto alla bellezza stessa, che dovrebbe adornare l'intera città (ma se consideriamo gli edifici in cui son collocate le nostre scuole e i nostri licei, spesso più vicini a squallide carceri che a scuole propriamente dette, non ci appare affatto strano che i nostri giovani s'adeguino e si conformino alla turpitudine!), tuttavia, insieme a Seneca e a molti altri autori antichi, afferma che la storia incide maggiormente a istruire i cittadini, e, secondo l'opinione di Tucidide, insegna agli uomini - dal momento che guarda soprattutto ai reggitori dello stato - a preveder con prudenza gli avvenimenti futuri e a preoccuparsene responsabilmente, osservando i ricorsi storici. Polibio aggiunge che chiunque dimentichi la propria storia, è condannato a ripetere incessantemente gli stessi errori: vogliamo dunque far sì che i nostri giovani perdano la propria memoria e ripetano gli errori non solo nostri, ma anche dei nostri antenati? Perché non promuovere quindi e incoraggiare tali studi? Perché non dare, nelle scuole, maggiore rilievo a queste discipline che, invece, ovunque risultano oltraggiate? Qualche tempo fa ho trattato l'importanza dell'educazione nella società umana, che, senza dubbio, può condurre i cittadini alla virtù molto meglio che tutte le leggi e i decreti dello stato, quando s'insinua nell'animo e vi pone radici stabili. A tal proposito s'inserisce l'ammonimento d'Isocrate: cioè che questa virtù origina da una lunga meditazione che, come dice Pericle, attenua la smodata imprudenza degli uomini, trasfondendo nei loro cuori saggezza e temperanza. Tuttavia a nessuno è concesso di conseguir tale virtù attraverso insegnamenti stereotipati e immutabili: essa, infatti, alla stregua d'un seme, può crescere e prosperare, finché trasformiamo gli esempi dei nostri predecessori nella nostra stessa linfa vitale, confrontando con loro ciò che quotidianamente osserviamo e viviamo e ripercorrendo la storia del nostro e degli altri popoli. Infatti, come ricorda lo stesso Livio, è utile, nella storia, riprendere e imitare ciò che può giovare a noi e alla nostra società, ed evitare ciò che è turpe e nocivo. Ché se Isocrate, nell'Evagora, ci insegna che gli esempi degli antichi non hanno una maggiore influenza a formare gli animi rispetto alla bellezza stessa, che dovrebbe adornare l'intera città (ma se consideriamo gli edifici in cui son collocate le nostre scuole e i nostri licei, spesso più vicini a squallide carceri che a scuole propriamente dette, non ci appare affatto strano che i nostri giovani s'adeguino e si conformino alla turpitudine!), tuttavia, insieme a Seneca e a molti altri autori antichi, afferma che la storia incide maggiormente a istruire i cittadini, e, secondo l'opinione di Tucidide, insegna agli uomini - dal momento che guarda soprattutto ai reggitori dello stato - a preveder con prudenza gli avvenimenti futuri e a preoccuparsene responsabilmente, osservando i ricorsi storici. Polibio aggiunge che chiunque dimentichi la propria storia, è condannato a ripetere incessantemente gli stessi errori: vogliamo dunque far sì che i nostri giovani perdano la propria memoria e ripetano gli errori non solo nostri, ma anche dei nostri antenati? Perché non promuovere quindi e incoraggiare tali studi? Perché non dare, nelle scuole, maggiore rilievo a queste discipline che, invece, ovunque risultano oltraggiate?
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