giovedì 4 gennaio 2018
L'Accademia Vivarium novum è una scuola alla quale gli studenti son soliti confluire dalle università di tutto il mondo, per studiare le discipline umanistiche, coltivare le lettere, riflettere nel loro intimo sulle dottrine filosofiche, e non solo leggere, ma anche cantare e mandare a memoria carmi greci o latini. Giovani sia portoghesi, spagnoli, francesi, inglesi, tedeschi, belgi, ungheresi, olandesi, italiani, croati, cechi, russi, sia messicani, colombiani, cileni, argentini, brasiliani, arabi, africani, indiani, cinesi vivono pacificamente insieme, come in un cenobio laico, dove gli uni non “tollerano” come in genere si dice, i costumi, le opinioni, le consuetudini e i princìpi degli altri; ma, al contrario, mossi da una sana e feconda curiosità, s'interrogano a vicenda, ascoltano con interesse, vogliono apprendere quel che gli altri dicono: sanno infatti bene che la cultura umana non è altro che un concerto sinfonico, nel quale, quanti più sono gli strumenti, tanto più dolce e soave giungerà l'armonia alle orecchie, purché i musicisti non smettano d'alimentare fra loro l'accordo affiatato. Parlano fra di loro solo in latino; lingua che, non essendo peculiare e propria di nessuno di loro, sembra esser quasi un tesoro ereditario di tutti; usando il quale, senza grande sforzo, non solo si può colloquiare coi propri contemporanei, ma anche con coloro che si son tramutati in polvere molti secoli prima di noi. Il francese chiede al cinese di Confucio, il più grande filosofo della Cina; il cinese risponde, e mostra quanto sian simili le dottrine di quel sapiente agl'insegnamenti degli stoici; lo spagnolo legge Omero col congolese; e lui, a sua volta, racconta delle favole dei suoi avi, dalle quali sembrano spirare gli stessi sentimenti che spirano dall'Iliade e dall'Odissea. A una voce cantano Orazio, Ovidio, Virgilio: versano lacrime insieme, commossi tutti assieme negli animi.
In questi giorni preparano una scena teatrale: corrono qui e lì, confezionano vestiti, mandano a memoria le battute dal copione e provano. In quella scena un indiano fa la parte del re Baldassarre, un cinese quella di Gaspare, un africano quella di Melchiorre. Il primo è induista, il secondo confuciano, il terzo nella sua patria prega le anime degli antenati. La parte della Madonna la fa una giovane ragazza, dolcissima di costumi e d'animo, dotata d'una voce angelica, i cui genitori sono seguaci di Maometto. Tutti insieme, in questi giorni, stanno per mettere in scena questa rappresentazione, dove celebreranno la nascita di Cristo; né credono per questo che la loro cultura sia disprezzata, offesa, o schiacciata con violenza: sanno bene, infatti, che si tratta della festa della Luce e dell'Amore, col quale tutti gli uomini dovrebbero unirsi fra loro e con Dio. E allora? I Magi non furon forse zoroastriani? E lo stesso Gesù non disse forse che il centurione pagano, che certo invocava Giove e Minerva nelle sue preghiere, mostrava più fede di tutti i figli d'Israele? Coloro che van dicendo e blaterando che dobbiamo toglier da mezzo queste occasioni d'imbandire agli altri popoli, che vivono in mezzo a noi, sapidi conviti d'Amore grazie ai quali gli animi s'uniscano di benevolenza, seminano odio, non amore, guerra, non pace; e non son soliti far altro che versare il veleno della loro asprezza.
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