martedì 27 dicembre 2016
«Tolta la giustizia, cosa sono i regni se non grandi bande di briganti?» (Agostino, La città di Dio 4, 4).
Posso metterci la testa: la corruzione è connaturata al potere. Ogni età ha avuto il suo Verre; nessun popolo mai è fiorito tanto felice, da non essere oppresso dall'avidità di qualche Nerone, o dalla crudeltà d'un Falaride. Non vorrei dunque, come fanno quelli ai quali piace non tanto correggere quanto castigare, cadere nella solita censura, ormai diffusissima come un ritornello: ci son già molti che, a una voce, son soliti inveire contro tutti i potenti accusati di brogli, o di concussione, o d'altro qualunque reato, e con molto maggior cognizione e veemenza di quanta ne possa avere io. Invece, giacché ho cominciato a parlare dei crimini nel governo della cosa pubblica, mi pare che farò cosa assai più utile se m'accosterò alla questione da cui credo che rinascano continuamente, come molteplici teste d'Idra, gli altri mali: noi, cioè, sbagliamo, perché non solo distinguiamo le faccende private da quelle pubbliche, ma le stacchiamo e separiamo così da tenere del tutto disgiunte le une dalle altre. «Ma al contrario – dirà qualcuno –, spesso si sbaglia perché i cómpiti pubblici si trattano come se fossero affari privati!». Ma chi lo dice non vede chiaro e non s'accorge che colui il quale da una carica pubblica coglie vantaggi, non confonde utilità privata e pubblica ma le subordina. Io credo che giudichi bene degli affari pubblici e privati chi comprende che i fatti privati son contenuti nell'utilità pubblica e persino da essa tutelati. Infatti, benché non sia mancato chi sostiene che gli Stati non si debbano costituire se non per difendere i comodi privati, mi pare che costui non parli di cittadini uniti dal diritto, ma di un'associazione a delinquere: nessuno teme sempre di subìre furto o danno dai suoi vicini, se non chi sa bene d'abitare in mezzo a briganti. Al contrario, la comunità che chiamiamo "cosa pubblica" è come un grande corpo, retto dal diritto come da un equilibrio costante; e, se per caso cessa, provoca necessariamente prima la malattia d'un membro, poi dell'intera compagine. Dal che risulta abbastanza evidente che il benessere d'un membro dipende dalla salute degli altri. Se dunque le cose stan così, non dobbiamo considerare quanti governanti s'arricchiscano con pubblico danno, ma piuttosto quanto pochi cittadini pensino al bene comune. Ovvia, fa' la somma: ti meraviglierai che la maggior parte dei cittadini non differisce molto dai corrotti governanti: infatti questi ultimi han sempre il potere di fare ciò che gli altri spesso vorrebbero.
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