giovedì 29 marzo 2018
Le discipline umanistiche non devono affatto essere riservate ai soli specialisti, ma devono piuttosto esser patrimonio di tutti, così che confrontando la nostra epoca con le precedenti e istituendo un colloquio perpetuo coi nostri antenati, possiamo più a fondo comprendere l'età nostra e la vita che oggi viviamo. Riusciamo infatti ad acquisire maggiore autocoscienza solo quando ci confrontiamo con coloro che nei secoli ci hanno preceduto e nel contempo gettiamo fondamenta più solide per il futuro, simili a querce robuste che, per dirla con T. Zielinski, affondano le loro radici nel terreno non perché vogliano crescere al contrario, ma per innalzare i propri tronchi, per estendere i propri rami, per generare gemme, fiori e frutti in abbondanza. L'humanitas infatti è come una patria a tutti comune, in cui gli uomini, pur divisi per lingua, leggi, religione, son tuttavia uniti da un vincolo comune che supera ogni distinzione. «Sono chiamati studia humanitatis» dice Leonardo Bruni «perché rendono uomo l'essere umano e lo portano alla sua perfezione», e liberali sono dette, non solo perché degne d'un uomo libero, ma perché rendono l'uomo libero. Libero cioè dalle false opinioni, dal conformismo, dai pregiudizi, al punto che, «non sentendosi obbligato a giurare sulle parole di nessun maestro», l'uomo si sforza in una tensione costante alla ricerca della verità. Ne consegue dunque che non possiamo consentire con coloro che, dediti alla sola ricerca del profitto, considerano un bene primario le ricchezze, da conseguirsi per vie lecite e illecite e, presi da un'ambiziosa sete di successo e carrierismo a tutti i costi, sono anche pronti a impadronirsi con spirito di rapina delle cose altrui pur di soddisfare la smodata brama del proprio ego. Riteniamo i beni e le ricchezze non il fine, ma gli strumenti di cui l'uomo deve servirsi per il miglioramento delle condizioni materiali e spirituali del genere umano, e per questo non possiamo approvare un sistema in cui i più siano poveri e considerati alla stregua di burattini nelle mani dei più ricchi.
Coltivare le discipline umanistiche significa dunque, oggi come in passato, congiungerle con l'esperienza e, soprattutto, coltivare l'humanitas tra gli uomini arricchendo colla cultura il proprio animo e per ciò stesso giovando agli altri senza ritirarsi, come un pedante, in una torre d'avorio isolata dalla vita reale e dalle sue sfide: se i cultori di queste discipline abbandonano gli uomini non c'è da meravigliarsi che gli uomini a loro volta le abbandonino. Le parole devono sempre dunque corrispondere alle cose se non vogliono essere vuota retorica fine a sé stessa.
È vero, non ce lo nascondiamo: il mondo sembra volgere in tutt'altra direzione. Qualcuno forse dirà che questi sono i tempi e non si può fare diversamente. A costoro noi rispondiamo a una voce con Agostino: «Noi siamo i nostri tempi: come siamo noi, così sono i nostri tempi».
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