domenica 26 marzo 2006
   C'era «un vuoto storiografico sui femminismi negli anni "70»: è «il rapporto irrisolto con la violenza». Lo scriveva, un anno fa, la storica Anna Bravo, già di Lotta Continua (La Repubblica, 2/2/05). Scriveva: di quella violenza «portiamo una responsabilità per averla agita, tollerata, giustificata nell"immaturità con cui le donne si misuravano con la questione dell"aborto: Tendevamo a sorvolare sul fatto che le vittime erano due, la donna e anche il feto», di cui «che fosse materia vivente non implicava considerarlo una vita». Tuttavia «non abbiamo mai discusso sul passaggio dall"una all"altra condizione. Né nei nostri documenti c"è mai traccia della sofferenza del feto». La Bravo aprì un diffuso ripensamento, nella cui scia appaiono ora due libri. Il primo, di due femministe militanti ("Madri selvagge. Contro la tecnorapina del corpo femminile"), che il Corriere della sera (16 febbraio) recensì così: «Noi femministe contro la maternità in provetta». Le due «eretiche del femminismo politicamente corretto», nel referendum si sono «scandalosamente astenute» e ora denunciano «le biotecnologie riproduttive e la nuova eugenetica», perché «separano le donne dal loro potere procreativo, che con amore e saggezza ha protetto la specie, garantito e accettato la sua varietà» mentre adesso «il ventre materno è diventato campo di sperimentazione e luogo di esercizio del potere tecnoscientifico per eccellenza». Perciò negano che «i tecnomedici e i tecnoscienziati siano sempre alleati benevoli». Ormai «il marketing strepitoso pone il figlio come qualsiasi bene di consumo». Il secondo libro ("La colpa delle donne") è di Ritanna Armeni, comunista e conduttrice, con Giuliano Ferrara, di "Otto e mezzo" su La 7. Ecco come il Corriere (2 marzo) l"ha registrato: «Amiche femministe, un po" di autocritica: non è più tempo di separarci dai maschi». La Armeni difende ancora la 194, ma scrive: «Ci hanno imposto di dover scegliere la maternità, invece la maternità fa parte della vita di una donna [...] Il concetto di autodeterminazione va rimesso in discussione». Il femminismo «sembra avere esaurito quella spinta che portava a interrogarsi collettivamente sulla propria esistenza e identità». Accade anche in Inghilterra, dove l"8 marzo appare un manifesto " «Giù le mani dalle nostre ovaie» " firmato «sia da femministe schierate su posizioni pro-choice sia da convinte militanti pro-life». Una firmataria, Josephine Quintavalle, ha spiegato al Foglio: «Stavolta siamo tutte d"accordo nel denunciare quale spaventoso sfruttamento sul corpo delle donne si consumi sempre più in nome del progresso scientifico». Infine ecco la testimonianza di Julia Kristeva, femminista bulgaro-francese insignita di un premio per la creatività femminile. La pubblica l"Unità (mercoledì 22) in un"intervista sul «dogmatismo» che costei «imputa al femminismo degli Anni "70»: «Io ho cercato di uscire da quel che di massificato c"era nel femminismo sottolineando la creatività propria di ciascuna donna [...] Si faceva macello di vocazioni importanti come la passione materna, bollata come schiavismo [...] Un militantismo  che crede di poter chiudere tutte le donne [...] in un rivendicazionismo accanito e disperato». Valga per tutti coloro che, in queste materie, ancora dicono «le donne».
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