venerdì 2 aprile 2010
A costo di annoiare i lettori - o addirittura infastidirli - torno a parlare di Balotelli. Che non è più l'eroe difeso coralmente dai media italiani quando i tifosi idioti gli gridavano "buu".
Adesso non possono più insultarlo perché l'Inter lo ha "ritirato" dal campo, certo facendogli più male di quelle grida demenziali che salivano dagli spalti. Io lo difendo, Balotelli, e non solo perchè è un ragazzo di diciannove anni prigioniero di tanti signori maturi che non hanno saputo e non sanno gestirlo. Il suo presidente è il più potente d'Italia, il suo tecnico e il suo procuratore fra i più potenti d'Europa: dalle mie parti si dice che chi ha più testa la usi, e invece hanno permesso che l'assurda partita finisse per essere giocata tutta dal bizzoso e esotico Mario da Brescia che - a quanto è dato sapere - non ha commesso peccati gravi (voglio dire sul piano della condotta moralprofessionale) ma errori di gioventù. Errori - aggiungo - da "piedibuoni". Mario è un ragazzo capriccioso, non un mangianotte da tabarin come certi suoi compagni fuggiti in Brasile o un battifiacca accanito collezionista di "veline". Non è un caso che in queste periodiche tempeste finiscano puntualmente giocatori dotati di classe, di estro, di talento insomma; quelli che a volte, senza volerli offendere, diciamo ispirati più dai piedi "divini" che dalla ragione. Essi posseggono come minimo dosi massicce di narcisismo, un superego che - nel caso del nostro eroe - gli ha addirittura procurato il titolo di "Supermario".
Ma si sa: nel calcio - come nella vita - si innalzano e si abbattono Imperatori e Super. Soprattutto se finiscono per confrontarsi con gli Specialoni. La storia dei pedatori di lusso, dei poeti del gol, degli idoli della passione, e' ricca di nomi illustri che hanno spesso trovato altrettanto illustri tecnici pronti a negargli il passaporto per la gloria. Non dico tanto di Gianni Rivera che sul suo cammino - prima di qualche modesto allenatore - trovò un grande scrittore, Gianni Brera, infastidito non solo dalle sue caratteristiche "abatinesche", ma dalla irriverente dialettica del mandrogno che lo portò poi fino al Parlamento. L'elenco è lunghissimo ma per comodità - ed eccellenza - ne citerò uno per tutti: Roberto Baggio. L'altra sera, durante la trasmissione Rai sulla Champions cui partecipo, dibattendo del "caso Balotelli" ho parlato proprio di Baggio, irritando il collega Zazzaroni che del "Codino" è attento biografo. Baggio no, Baggio è un mito, Baggio non può esser confrontato con lo scellerato Balotelli, soprattutto in una vicenda che pare abbia registrato anche qualche soffio di parolaccia. Non ho voluto aprire il solito teatrino dei nervi ma ora - con tutta calma - vorrei che si ricordasse come il giocatore italiano che reputo il più grande degli ultimi vent'anni, il professionista che deve una carriera luminosa allo spirito di sacrificio, al lavoro instancabile e a un'intelligenza calcistica straordinaria, imparò presto a difendersi - sempre da me sostenuto - dalle scelte "inique" di allenatori spesso gelosi della sua classe e della sua indipendenza (quest'ultima davvero un reato per panchinari e ginnasiarchi anche celebri come Sacchi, Lippi, Ulivieri, Zoff e Trapattoni), fino ad esplodere in un famoso "labiale": era il 23 giugno del 1994, Mondiali USA, seconda uscita per la Nazionale di Sacchi che a New York - dopo la sconfitta con l'Irlanda - affrontava la Norvegia. Al 21' Pagliuca veniva espulso per aver toccato la palla con le mani fuori area, Sacchi lo sostituiva con Marchegiani e sceglieva di richiamare in panchina, guarda un po', proprio Baggio. Robi reagì platealmente, non come il Chinaglia che nel '74 aveva mandato a quel paese Valcareggi con un significativo gesto della mano, ma con tre parole che furono offerte a un miliardo di telespettatori (traduzioni comprese) e inaugurarono la stagione del "labiale": «Questoè matto».
Disse, poi trascino' l'Italia in finale. Mario Balotelli, poverino, dicono abbia rivolto a Mourinho una sola parola - e meno grave - nel segreto degli spogliatoi. E vogliono negargli l'opportunità di condurre l'Inter - con i bei gol che sa fare - allo scudetto e alla finale di Champions - . Ecco perchè lo difendo, sperando di vederlo non solo domani in campo con il Bologna, ma addirittura al Mondiale in Sudafrica.
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