sabato 12 giugno 2004
Ogni faccia che incontro mi sembra familiare, riconosco i segni inconfondibili che imprime questa città su ogni volto, soprattutto la stessa ferita che, più o meno profonda, è incisa sul volto di ciascuno: il segno della solitudine. Non sai perché ma è così, anche quando, a un primo sguardo, credi di riconoscere la bellezza, il benessere, persino la soddisfazione di un corpo accurato, che non manca di nulla. Capita anche a me quando cammino per le strade di Milano di guardare i volti delle persone, talora raccogliendo un frammento sperso dei loro dialoghi. E forse ha ragione don Ennio, il prete protagonista del bel romanzo, da poco edito, di Ferruccio Parazzoli, Per queste strade familiari e feroci (Mondadori), a scoprire in tutti i volti "la stessa ferita", quella della solitudine. Mai come oggi noi ci muoviamo, ci incontriamo e scontriamo, parliamo e facciamo: eppure mai come ora ci sentiamo soli e insoddisfatti. Anch'io sono sacerdote e quindi incontro persone le più diverse e varie, appartenenti a origini, esperienze, vicende, storie le più disparate. Ma tutte aspettano da me una cosa sola, essere ascoltate con attenzione partecipe perché nessuno più è pronto a dedicare tempo (realtà così "contingentata" ai nostri giorni) per l'altro. E così si rimane circondati di presenze esteriori e di cose, ma si è profondamente soli nell'anima e nell'intimità. Anche don Ennio sentirà questa "ferita", ma è significativo l'approdo della sua esperienza, tutto concentrato nel sottotitolo del romanzo, «Risorgerò», il cui senso è da scoprire proprio nell'ultimo capitolo.
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