sabato 28 agosto 2021
A livello internazionale viene definita "revenge spending", la "spesa della rivincita" (o addirittura della "vendetta") nei confronti del Covid. È il nuovo fenomeno dei consumi che sta caratterizzando la spesa dei ceti abbienti, dagli Stati Uniti alla Cina all'Europa: la reazione da parte del consumatore benestante all'imprevedibile sequenza di vincoli e rinunce che hanno dominato le nostre vite negli ultimi 18 mesi sembra essere l'acquisto di beni di lusso e prodotti di qualità, che offrono una gratifica molto superiore oggi a quanto avvenisse negli anni pre-pandemia. Nasce da ciò una chance straordinaria e inaspettata per il "bello e ben fatto" tipico del made in Italy: in molti settori l'incrocio tra le aspirazioni dei consumatori dell'upper class internazionale e le produzioni italiane è magicamente perfetto.
Se ne sono già accorti, ad esempio, i nostri principali produttori di vino. Secondo i dati dell'Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, pubblicati nei giorni scorsi, nel primo semestre di quest'anno le importazioni di vino italiano da parte dei 12 Paesi top buyer (i maggiori compratori di vino nel mondo, che assieme valgono circa tre quarti dell'export complessivo italiano) sono risultate in crescita a valore del 7,1% sullo stesso periodo 2020, ma soprattutto del 6,8% sul 2019: i danni causati dal Covid sono già ampiamente alle spalle per l'industria vinicola italiana, che sta per celebrare il rito annuale del Vinitaly a Verona (in programma dal 17 al 19 ottobre). Rispetto al 2020, in particolare, l'Italia del vino conquista oggi i consumatori cinesi (+36,8%), tedeschi (+9,3%) e russi (+29,4%).
È facile prevedere che nei prossimi mesi saranno diffusi dati simili a vantaggio di molte altre produzioni agro-alimentari eccellenti dei territori italiani, dei prodotti italiani del fashion, dell'automotive, della cantieristica di lusso, dell'arredamento di design e così via. Perché tra le conseguenze durature della terribile tragedia che tutto il mondo ha vissuto e che ancora incombe sulle nostre vite, potrebbe esserci l'accelerazione di un trend che avevamo già registrato in questa fase della globalizzazione: la ricerca (da parte di chi può permetterselo) della qualità e della sostenibilità, capace di sostituire sempre più spesso la spasmodica caccia alla quantità e al prezzo più basso che ha contraddistinto i primi anni Duemila. Se il trend fosse confermato nei prossimi anni, sarebbe una splendida notizia per il sistema-Italia. Per le sue imprese manifatturiere e per i suoi lavoratori di qualità, per i suoi artigiani e per i giovani talenti dell'intelletto e della manualità: tutti pronti a gareggiare con i colleghi europei, americani e asiatici per esaudire le aspirazioni del consumatore d'ogni angolo del mondo, molto più che per offrirgli la soluzione più economica ai suoi bisogni.
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