martedì 29 novembre 2022
«Noi, popolo nigerino sovrano, deciso a consolidare quanto acquisito nella Repubblica e l’indipendenza nazionale...». Inizia con queste parole il preambolo dell’ultima Costituzione della settima Repubblica del Niger, rivista e corretta dopo l’ultimo colpo di stato militare del 2010. All’articolo 4 della stessa si ricorda che... «La sovranità nazionale appartiene al Popolo» (maiuscolo nel testo). Già, la sovranità, parola che conserva un fascino particolare nel nostro immaginario sociopolitico. Essa deriva da “sovrano”, latino medioevale che indica qualcuno che si trova al di sopra e dunque designa l’esercizio del potere su un luogo e su persone determinate. I suoi sinonimi, poi, non lasciano adito al dubbio: autorità, dominazione, impero, padronanza, superiorità, supremazia, onnipotenza... Parlare di sovranità esprime dunque la capacità di decidere che fare della propria storia, personale e collettiva e cioè come autodeterminarsi. Se questo è vero, allora sovranità e dignità camminano assieme come sorelle e, come ricordava lo scrittore Charles Péguy a proposito della piccola speranza, c’è la terza delle sorelle, la più piccola che le tira entrambe. Nel nostro caso la sorella minore, porta il nome di libertà. Essa conduce le due altre sorelle per mano, tirandole a volte dalla sua parte, giocando se occorre e strattonandole quando le due sembrano stancarsi di camminare. In vari Paesi del Sahel, infatti, la sovranità e la dignità sono entrambe orfane della libertà. La sovranità appare soprattutto tradita dagli intellettuali di regime che hanno preferito sedersi alla mensa dei potenti invece che condividere l’indigenza dei poveri, e che hanno dimenticato le proprie origini. Hanno svuotato le parole del loro senso e della verità, prostituendole per un’effimera fama che il vento del deserto spazzerà via in fretta. Di loro non resterà nulla per le nuove generazioni, che attendevano parole di speranza. La sovranità venduta è quella dei politici che hanno dilapidato, dall’epoca delle indipendenze degli anni 60 del Novecento fino ai nostri giorni, il patrimonio di lotte, ideali e fermenti di un mondo differente ereditato dall’anelito alla libertà. Figli del sistema, hanno assimilato e interiorizzato lo stile coloniale di potere per il quale governare significa dividere e accumulare, ma anche espropriare quanto di più sacro c’è al mondo: la giustizia. Essi si perpetuano al potere grazie alla complicità e alla passività del popolo, che comprano e svendono al miglior offerente del mercato globale. La sovranità confiscata, invece, è opera dei fabbricanti d’armi e degli imprenditori della violenza che si avvale dell’ingiustizia. Essi la usano per trafficare mercanzia pregiata e si circondano di ideologie religiose per giustificare e infliggere la sofferenza e la morte ai poveri, abbandonati alla loro sventura dallo Stato. La sovranità ritrovata, infine, è quella che i migranti generano grazie alle frontiere dalle quali sono attraversati. La regalano a chi sa accoglierla come un dono prezioso. Verrà quel giorno si farà una grande festa di nozze per loro e per tutte le donne dimenticate dalla storia. Niamey, 27 novembre 2022 © riproduzione riservata
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