giovedì 17 giugno 2021
È ancora possibile avere fiducia nei "guru" della tecnologia digitale? Possibile che dopo il disastro Facebook, le pericolose derive antidemocratiche di Amazon e di Google per non parlare di quanto avviene in Cina, dove il governo accende e spegne i social a seconda delle fluttuazioni del consenso, ci crediamo ancora? La tecnologia ha sempre un'aura magica che induce a pensare che "gli esperti" sappiano davvero dove siamo e dove stiamo andando. Oggi chi parla ancora di smart cities lo fa presumendo che la cavalcata di internet nella nostra vita debba inesauribilmente arrivare a controllare tutto.
Se si ascoltano le raccomandazioni di guru un po' nostrani come Carlo Ratti che rivendica la paternità della espressione, ci si stupisce della totale assenza di preoccupazione rispetto alla massiccia idea di controllo delle nostre vite che le smart city auspicano. Perfino le biciclette vanno monitorate e messe in rete. Perfino le bidonville e gli spazi pubblici in esse, perfino la nostra volontà di costruire reti informali. Ratti ha preso alcune idee di rete che vengono dal mondo più problematico di Bruno Latour e da quello antagonista di Ivan Illich per trasformarle in un capitalismo digitale che strizza l'occhio ai benpensanti di sempre. C'è bisogno di più verde? Costruiamo isole artificiali in Finlandia dove riprodurre la foresta tropicale!
La soluzione delle città post-Covid? Maggiore monitoring, maggiore accentramento dei controlli, maggiore pianificazione dall'alto. La sua è una tipica utopia architettonica "vecchio stampo", quella che va dalla diga al cucchiaio e che crede che esista un deus ex machina che risolve con la progettazione tutti i problemi. Una utopia anti-democratica e che soffoca gli spazi che rimangono fuori controllo e affidati a ciò che la vita quotidiana della gente produce. Come lui, De Lucchi o Bjarke Ingels sognano di poter progettare immense conurbazioni dove tutto è tenuto sotto sorveglianza. Sono utopie alla Jules Verne che oggi il digitale renderebbe più appetibili se la gente non si fosse in qualche modo accorta del fatto che non c'è stata nessuna rivoluzione, ma solo una restrizione delle libertà individuali. Ratti vuole risolvere il problema tra ricchi e poveri rendendo le città più connesse con funivie e passaggi aerei, come se lo zoning di classe fosse una questione di tecnologia.
In questi guru manca una visione vera della società e dei diritti di essa, diciamo, basterebbe Popper per ricordare loro cosa è la scienza e la tecnologia in una società libera. Ma non ci arrivano perché sono figli di una educazione sensazionalistica che oggi purtroppo si esprime perfino al MIT come in tutti i TED Talks. Dove al povero pubblico vengono propinate soluzioni miracolistiche come un tempo nei teatri si metteva in scena l'abilità di fare apparire e scomparire piccioni.
Triste che pensino che il pubblico vada trattato in questo modo, triste che facciano parte di un meccanismo di potere che ne ha bisogno per illudere la gente e pensare che "gli esperti sanno" cose che ai più sfuggono. E triste come sta andando a finire il ruolo dei progettisti, architetti o ingegneri che siano, nella nostra società. Cavalier serventi dei "veri" guru, i noti cavalieri dell'Apocalisse che avanzano sulla sella del digitale.
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