sabato 31 marzo 2018
Mentre i leader politici si interrogano nei giorni della Pasqua su alleanze possibili e maggioranze apparentemente impossibili, sarebbe bello che in parallelo i cittadini (più avveduti) utilizzassero questi giorni per riflettere sullo stato di salute della nostra democrazia dopo la "rivoluzione elettorale" del 4 marzo.
A chi volesse accogliere l'ardito invito, un caldo consiglio: eviti la tentazione (assai di moda) di cercare ispirazione in improbabili guru d'Oltreoceano, riscoprendo invece uno dei più coraggiosi pensatori della storia politica italiana. Dimenticato dalle nostre élite ed emarginato dai libri di storia, ma dotato di una straordinaria capacità profetica. Mi riferisco a Piero Gobetti e alla sua "Rivoluzione Liberale", definita dallo stesso autore «saggio sulla lotta politica in Italia».
Nella sua opera di riferimento Gobetti descrisse, con 70 anni d'anticipo, i fenomeni che caratterizzano oggi la vita istituzionale e politica italiana (molto più che negli anni Venti del Novecento, in cui Gobetti scriveva): la mancanza di una borghesia in grado di farsi classe dirigente del Paese, una concezione «feudale» della cosa pubblica da parte dei decisori pubblici, il rischio di una graduale compressione degli spazi di libertà. Ma ciò che risulta oggi davvero impressionante, rileggendo attentamente "Rivoluzione Liberale", è l'affresco fatto da Gobetti di una sorta di incubo della democrazia. Si tratta del possibile avvento della «democrazia apparente»: la democrazia della propaganda, delle opinioni deviate, del voto falsato. Il riferimento è ai totalitarismi di massa di ieri – dai fascismi allo stalinismo – di cui Gobetti intuì l'avvento senza riuscire a vederli realizzati in vita, ma anche (mutatis mutandis) alle ideologie populiste di oggi.
Gobetti si batteva per la valorizzazione della libertà individuale, difendendola da quei corporativismi e clientelismi (diffusi ovunque, anche in una parte dello stesso mondo cattolico) che nei decenni successivi avrebbero reso più faticosa e complessa la corsa del nostro Paese verso lo sviluppo economico e sociale. Ma la sua "rivoluzione liberale" non è mai stata compiuta, così come non ha mai visto la luce l'alleanza da lui teorizzata tra élite politiche e produttori di reddito. Eppure si tratta di visioni valide ancora oggi: riscoprirle e realizzarle vorrebbe dire, 70 anni dopo, cambiar volto all'Italia e agli italiani.
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