sabato 22 giugno 2013
Qui giovedì sul «nuovo umanesimo» che Roberto Saviano ("Espresso", 29/6, p. 9) invoca come unica «base per liberarsi dalle miserie umane attuali». "Nuovo", e allora tutto da inventare? Bella impresa… E nel frattempo? Nel frattempo torna l'urgenza. Ieri ("La Stampa", p. 1: «In memoria di sé») il "Buongiorno" di Massimo Gramellini parte dall'amarezza manifestata da Steve Jobs, uno degli uomini più noti e importanti di sempre – «Il mondo si dimenticherà di me» – per accusare «un vuoto interiore: la mancanza di una certa idea di noi stessi come esseri unici e irripetibili», e in un estremo sforzo di speranza conclude così: «Se ogni persona pensasse di poter davvero lasciare un segno indelebile del suo passaggio», allora il mondo sarebbe migliore. In sostanza è ancora il richiamo a un «nuovo umanesimo». Nessun sospetto che ce ne sia già uno da qualche migliaio di anni, riconosciuto da tutti, o se si vuole da molti, come fondamento della visione moderna dell'uomo-persona con diritti e doveri? Magari quell'umanesimo ritrovato alla fine persino da Eugenio Scalfari, anni orsono, nel ripercorrere la sostanza dei "dieci comandi" biblici? Nessuno! Si sa: da anni è moda, seguita dalla "crema" dell'intelligenza nostrana, il rifiuto esplicito di quelle "radici" indicate anche con un certo malcelato disprezzo come "ebraico-cristiane"... Eccoci: senza basi nel passato alla ricerca vana di radici per osare il presente e il futuro. Un dramma... Ieri sul "Foglio" (p. 7) si parlava di un libro di Beppe Vacca che appare come un invito a ripensare davvero al rapporto tra ragione e senso religioso: «Un'idea di noi stessi come esseri unici e irripetibili» è proprio l'abc di quel rapporto.
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