La regale «Missa solemnis in do» dell'enfant prodige Johan Hummel
domenica 8 agosto 2004
La vicenda artistica e biografica di Johann Nepomuk Hummel (1778-1837) si è incrociata in modo sorprendente con quella delle più illustri figure del panorama musicale europeo coevo. Enfant-prodige e virtuoso della tastiera, aveva poco più di otto anni quando Mozart lo accolse a Vienna come compagno di giochi dei suoi figli e gli impartì lezioni private di pianoforte, facendolo esordire sotto la sua direzione in un concerto pubblico; allievo di Salieri a fianco di Beethoven, nel 1804 venne poi raccomandato dallo stesso Haydn come suo successore nella carica di Konzertmeister presso la corte dei principi ungheresi Esterházy. E proprio alla loro sfarzosa residenza di Eisenstadt è rimasta legata la parte più considerevole (in termini di quantità e qualità) della produzione di carattere religioso di Hummel, riconducibile a mottetti, oratori e soprattutto all'accompagnamento musicale della Santa Messa, per la quale ogni anno era regolarmente richiesta una nuova versione da eseguire in occasione dell'onomastico della principessa Maria Ermenegilda; una commissione prestigiosa che venne onorata, tra gli altri, anche da Haydn, con i suoi ultimi sei capolavori liturgici (tra il 1796 e il 1802), e da Beethoven, con la Messa in do op. 86 (nel 1807). Per il matrimonio della principessa Leopoldina, nel 1806 Hummel scrisse invece la Missa Solemnis in do maggiore, oggi proposta in prima incisione assoluta dal gruppo corale Tower Voices e dall'Orchestra Sinfonica della Nuova Zelanda diretti da Uwe Grodd (cd pubblicato da Naxos e distribuito da Ducale); un'interpretazione dagli esiti a tratti un po' discontinui (soprattutto per quanto riguarda il quartetto di cantanti solisti), ma che nel complesso dimostra una precisa e coerente chiave di lettura. Nell'assecondare in modo convincente il classicismo un po' manieristico di un'opera che riesce peraltro a sorprendere per la profondità di alcune pagine concepite con efficacissimo taglio poetico, come il Credo (con la splendida e commovente sezione dell'«Et incarnatus») o l'intenso Agnus Dei finale (coronato da un vivace episodio fugato); svelando echi di quella «purezza mozartiana» che è stata riconosciuta all'arte di Hummel da un giudice severo come Robert Schumann.
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