venerdì 28 maggio 2004
Per funzionare meglio, le leggi devono essere poche, semplici e generali. Credo addirittura che sarebbe meglio non averne affatto, piuttosto che averne troppe, come avviene oggi. Chissà cosa avrebbe detto lo scrittore moralista francese Michel de Montaigne se, anziché vivere nel '500, avesse operato nell'Italia di questi decenni. La ragnatela delle leggi è talmente fitta da essere capace di soffocare tutti. O quasi: perché Plutarco metteva in bocca a Solone, il grande legislatore di Atene, la certezza che «le leggi sono come ragnatele, che rimangono salde quando vi urta qualcosa di leggero, mentre una cosa grossa le sfonda e sfugge». Insomma, il cittadino, che è un moscerino, vi rimane impigliato; il potente di turno è invece il calabrone che squarcia la tela e se ne va pimpante e impunito. Quando eravamo studenti di liceo, imparavamo a tradurre Tacito che già allora osservava: Corruptissima republica, plurimae leges, in uno stato che è al vertice della corruzione, il numero delle leggi è sterminato. Col moltiplicarsi delle norme non si aumenta la moralità, ma l'astuzia nell'evaderle e quindi prospera non solo la classe del legulei ma anche il traffico delle tangenti, degli inganni, delle evasioni. Era un altro pensatore francese famoso, Montesquieu, che aveva scritto un'opera intitolata Lo spirito delle leggi, a osservare che «le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie». Si ha, così, un effetto paradossale, quando le regole si moltiplicano: in crescita non è l'ordine ma l'anarchia, la confusione e soprattutto la corruzione.
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