giovedì 25 giugno 2020
Come disse Gesù a Pilato: «[…] Io sono venuto nel mondo
per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce. Pilato gli rispose: "Che cos'è la verità?"» (Gv 18, 37-38). Mi fermo sulla domanda antropologica di Pilato: «Che cos'è la verità ?». In carcere ognuno ha la propria. Perfino sugli episodi che possono accadere in cella ci sono diverse "verità". E dalle celle possono partire "verità" che poi passano di cella in cella, di reparto in reparto, perfino di carcere in carcere: in gergo si chiamano "biciclette", usate talvolta per diffamare un detenuto o mettere in guardia altri detenuti. Anche semplici dicerie diventano "verità" in grado spesso soltanto di creare vane aspettative e, alla fine, disillusione, malesseri, malumori. Per esempio la possibilità di un indulto o di un'amnistia o, ancora, l'annunciata riapertura dei colloqui con i familiari in questo periodo di pandemia. Ciò induce, tra l'altro, a un'ulteriore riflessione: ci troviamo a Roma, una metropoli dove molti vivono in una specie di anonimato; eppure Rebibbia sembra un paese dove, con sorpresa, ti accorgi che molti si conoscevano già "fuori", parlano della loro conoscenza dei fatti, delle loro verità, degli altri detenuti. Fuori o dentro, perciò, è difficile rispondere che cos'è o dove sta la verità. Anche, penso, per chi deve decidere. Giudici, pm, avvocati, spesso si trovano davanti a ragnatele di mezze verità e contraddizioni che la burocrazia e le lungaggini della giustizia italiana rendono ancora più fitte. Io stesso mi son trovato, più di una volta, nella difficoltà di capire "la verità" raccontatami. Difficoltà che nasce dal sentire solo una campana: quella del detenuto o, qualche volta, del suo avvocato. I detenuti, ovviamente, cercano di difendersi, di giustificarsi con il loro modo di esporre l'accaduto, le motivazioni e le situazioni che li hanno portati a commettere questo o l'altro reato. Nella maggior parte dei casi il loro atteggiamento durante i colloqui è rispettoso, educato. In barba alle teorie sballate di Cesare Lombroso, sono ragazzi o uomini come gli altri. Giovani e adulti che il contesto in cui sono cresciuti o certe vicissitudini o l'idea del guadagno facile hanno condotto sull'orlo di un baratro profondo: alla giustizia e alla società il compito di fare in modo che non vi cadano definitivamente. È una possibilità che va offerta, a prescindere dalle "verità" di ciascuno.
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