giovedì 7 agosto 2014
«Lo stupore davanti al miracolo / che malgrado gli infiniti azzardi, / che malgrado siamo / le gocce del fiume di Eraclito, / perduri qualcosa in noi: / immobile».La scoperta dell'eternità è un avvenimento raro, che privilegia alcuni poeti. I quali esistono per donare agli altri uomini queste rivelazioni miracolose: spesso, trascinato dalle visioni di una poesia, il lettore prova la sensazione di scoprire, in quel momento, cose che già sapeva ma in realtà non sapeva, o aveva completamente dimenticato. In questi versi sapienziali Jorge Luis Borges fissa una di quelle improvvise rivelazioni che folgorano la mente e i sensi dell'uomo, svanendo con la stessa rapidità con cui sono apparse. La poesia si intitola Fine d'anno: del capodanno non meraviglia il compimento di un processo astronomico, né l'attesa dei dodici rintocchi. Ma, in quell'attesa, il sospetto dell'enigma del tempo, proprio mentre il tempo trascorre segnando il passaggio da un anno all'altro: il miracolo che qualcosa permane, immobile. Siamo lontani dalla dimostrazione dell'eternità elaborata dal filosofo, o professata dal credente. Qui siamo nella percezione immediata, assoluta: di colpo ci accorgiamo che, anche se siamo come gocce dell'acqua di Eraclito, per cui tutto scorre incessantemente, pure qualcosa in noi perdura. La stupefatta scoperta dell'eternità.
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