mercoledì 14 settembre 2011
Con l'avallo di una breve prefazione di Giulio Andreotti, Claudio Modena ha pubblicato Ciceruacchio (Mursia, pp. 316, euro 20), una vasta biografia di Angelo Brunetti, il capopopolo di Roma che ebbe un ruolo di primo piano dapprima a sostegno delle aperture «liberali» di Pio IX, poi fra i protagonisti dell'effimera Repubblica romana.
Il personaggio è noto anche dalla cinematografia: Nino Manfredi lo impersonò nel film di Luigi Magni,In nome del popolo sovrano (1990); in precedenza era apparso nel film di Goffredo Alessandrini, Camicie rosse (1952) con le sembianze di Carlo Ninchi (Anna Magnani e Raf Vallone erano Anita e Giuseppe Garibaldi). E Ciceruacchio è forse al posto giusto proprio nei film, tanto movimentata, controversa e mitizzata è la sua figura, che Alberto Maria Ghisalberti, nel capitolo da lui redatto nella monumentale Storia d'Italia, a cura di Nino Valeri, liquida come «impetuoso Pietro d'Eremita rionale».
Il soprannome romanesco Ciceruacchio, che sta per «paffuto, grassottello», fu dato ad Angelo Brunetti dalla madre, compiaciuta delle sue guanciotte. Nacque nel 1800, fu carrettiere, trasportatore di vini, poi oste, e ben presto si fece notare per le sue doti di leadership e di abile mediatore. Entusiasta dell'elezione di Pio IX organizzò, con partecipazione alle spese, grandi manifestazioni popolari di sostegno, che immancabilmente si concludevano con lauti banchetti e ampie libagioni (in segno di giubilo veniva appiccato il fuoco alle botti dopo che le si era svuotate). L'autore segue con simpatia e poi con crescente distacco il suo protagonista, suffragando con documenti le ricostruzioni narrative che rendono gradevole e interessante la lettura del libro.
Furono anni torbidi, certo. Il papato di Gregorio XVI aveva lasciato molto malcontento nella popolazione che accolse con speranza il nuovo papa, anche se gli avrebbe preferito il cardinale Gizzi, che per breve tempo sarà poi il Segretario di Stato di Pio IX. Ciceruacchio a furor di popolo divenne portavoce dell'opinione pubblica, forse con il discreto aiuto dei «liberali» che invocavano le riforme, ma si prefiggevano l'unità d'Italia attraverso la rivoluzione.
Di fatto, è strano il mutamento di Ciceruacchio da papalino riformista a fervente mazziniano, e Claudio Modena, alla fine, non può che prendere le distanze dal capopopolo per il suo coinvolgimento nell'omicidio del ministro Pellegrino Rossi. Pare ormai accertato che l'esecutore materiale dell'assassinio sia stato proprio il figlio ventenne di Ciceruacchio, Luigi Brunetti, che poi sparirà dalla capitale sotto il falso nome di Luigi Rossi (o Bossi). Poteva Ciceruacchio non sapere della trama che veniva ordita con scarso acume politico, oltre che con inaccettabile violenza?
Fatto sta che Ciceruacchio rimase affascinato da Garibaldi e, dopo il crollo della Repubblica romana, si unì a un piccolo gruppo di legionari per portare aiuto a Venezia. Tradito a Porto Tolle (Rovigo), venne fucilato il 10 agosto 1849 insieme ad altri otto garibaldini, fra cui i suoi due figli, Luigi (Rossi o Bossi) e Lorenzo, appena tredicenne.
Il 16 marzo scorso, per il 150° dell'Unità d'Italia, il monumento a Ciceruacchio è stato collocato sul Gianicolo, dopo che nel 1960 era stato rimosso dalla Passeggiata di Ripetta per la creazione del sottovia. «Di personaggi come lui», scrive Andreotti nella prefazione, «restano i monumenti, ma la tradizione orale non riserva loro tributi ed encomi». È un'ulteriore conferma che la storia del Risorgimento è fatta di rivoli che scorrono, s'intrecciano, si dipartono, s'intorbidano, con difficoltà a confluire in fiume.
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