giovedì 28 maggio 2020
George Orwell e Hannah Arendt, nei loro scritti sui sistemi totalitari (per Arendt in particolare su quello nazista) giungono alla medesima conclusione: il male non è, come ci aspetteremmo, la crudeltà, la perversione morale, l'abuso del potere, il terrore. «Questi sono gli strumenti del male o i suoi effetti. No, il male più profondo del sistema totalitario è precisamente ciò che lo fa funzionare: la sua efficienza programmata, monomaniacale e monotona: il formalismo della burocrazia, le ottundenti prestazioni lavorative quotidiane, conformi al regolamento, noiose, generiche, uniforme» (Hillmann). Il Male è terribilmente noioso, privo di fantasia eppure prolifico di minuziosi ostacoli all'esplosione della vita. Il mondo della politica ne è diventato un'espansione grottesca: un infittirsi di regole, di carte, di disposizioni, di decreti che si sovrappongono l'uno all'altro smentendosi a vicenda in modo esponenziale lasciando che il grigiore di una pozzanghera diventi palude e poi paludoso oceano in cui perdere volontà e immaginazione. L'idea che la salute valga più della volitività del corpo che attraverso di essa esprime la sua anima, la costrizione a macchina, la negazione, infine, della nostra debolezza, e dell'inventiva, della fede, della grazia che ci servono per, diceva Nietzsche, «divenire ciò che siamo».
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