mercoledì 19 ottobre 2016
È autunno. E immediatamente l'associazione va ad alcuni piatti che sembrano compensativi del freddo che avanza. Lo scorso weekend a Mantova si è tenuto per esempio il Festival della Mostarda, che si abbina alle carni lesse, ai bolliti, ma anche ai formaggi, secondo una recente tendenza.I primi documenti che testimoniano la presenza della mostarda (per alcuni dal latino mustum ardens quindi piccante, o più probabilmente dal francese mout ardent, diventato poi moutarde) risalgono al Trecento e sono proprio relativi alla mensa dei signori di Mantova. Ma testimonianze archeologiche precedenti trovano qualcosa di simile in una nave romana con otri di coccio pieni di rape conservate con agresto, miele e semi di senape, segno delle sue proprietà conservanti.Detto questo, fa specie che un prodotto di lunga storia, che rappresenta un'economia di industrie, ma anche di piccoli artigiani, non venga disciplinato. Davide Mondin, autore con l'avvocato Carmine Coviello del libro "Food Law (Plan)", spiega che a oggi l'unica normativa che potrebbe disciplinare il nome mostarda è il decreto legislativo 50/2004 dove sono indicati i confini di alcuni nomi commerciali (come confettura e marmellata, con le loro differenze, e la crema di marroni). Ma non si fa cenno alla mostarda. Il paradosso è che ci sono aziende (solitamente le piccole) che hanno pagato fior di multe per non aver messo il nome corretto su un vasetto, mentre qualsiasi cosa può essere denominata mostarda: quella piemontese che arriva dal mosto di uva e non è piccante, quella mantovana che è fatta col monofrutto, quella cremonese che ha tanti frutti, come quella di Voghera, mentre in Veneto usano gli ortaggi.Quindi la regola è affidarsi alle consuetudini delle varie località, per un nome generico come biscotto o gelato. E che confusione a leggere l'elenco dei Pat (Prodotti agricoli tradizionali) a livello nazionale: se ne contano decine e la maggior parte sono al Sud. Per esempio, a Ponza, con mostarda si intende una preparazione con fichi d'India e semi di finocchietto. Detto questo, la soluzione sarebbe disciplinare la mostarda con un provvedimento nazionale specifico oppure promuovere un marchio collettivo in cui si possono riconoscere i produttori di Mantova, o di Cremona, o di Voghera. Anche perché poi ci si strappa le vesti parlando di italian sounding, mentre nel nostro Paese ci sono miriadi di prodotti a rischio di imitazione senza possibilità di difendersi. La mostarda è uno di questi, ma è solo un esempio per dire che ci vuole coerenza quando si parla di tutele. E ci vuole un progetto quando si portano le parate di cuochi nei ministeri.
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