mercoledì 15 ottobre 2014
Leone Piccioni, alla soglia dei novant'anni, estrae dal suo inesauribile archivio altri documenti della sua frequentazione con i letterati e i pittori del Novecento, e pubblica nelle elitarie edizioni Pananti di Firenze le 96 pagine, fuori commercio, di Una intimità ormai impossibile.Domanda: perché occuparsi di un piccolo libro fuori commercio? Risposta: ma è proprio di questi libri che ci si deve occupare, perché i libri in commercio se li può procurare chiunque in libreria oppure online, mentre i libri introvabili vengono conosciuti solo attraverso chi ne parla, e quindi è bene parlarne. La critica non è un consiglio per acquisti.Per chi, finora, fosse vissuto su un altro pianeta, ricordo che Leone Piccioni è stato allievo di Giuseppe De Robertis a Firenze e poi, a Roma, di Giuseppe Ungaretti, del quale è diventato collaboratore e amico, oltre che biografo fin troppo accurato perché di Ungà ha reso noti anche particolari al limite del gossip. Ma si sa che la critica si esercita sulle opere (che Leopardi fosse gobbo non interessa al critico dell'Infinito, semmai allo psicanalista), e Piccioni è critico illustre oltre che prefatore postfatore e curatore di celeberrimi libri ungarettiani (compreso il Meridiano Mondadori del 1969); invece il biografo esercita come meglio ritiene il diritto di raccontare tutto quello che sa del biografato.Il primo capitolo riguarda i controversi rapporti tra Ungaretti e Montale in cui rivalità, invidie, e sfottò non offuscarono mai del tutto la reciproca stima. Piccioni insiste sulla stima, e riporta brani dell'elogiativo commiato che Montale scrisse sul “Corriere” del 4 giugno 1970 in morte di Ungaretti.L'epistolario di Piccioni è inesausto. Le 300 lettere che Ungaretti gli scrisse sono state pubblicate l'anno scorso nell'Oscar Mondadori L'Allegria è il mio elemento; nel librino Pananti (con qualche refuso) troviamo le nevrosi compulsive di Carlo Emilio Gadda che, invitato a cena, temendo che i fiori inviati alla moglie di Piccioni per qualche incidente non arrivassero a destinazione, fece recapitare due mazzi: il primo giunse alla signora alle 13, l'altro verso le 18.C'è la gratitudine di Anna Maria Ortese verso chi riusciva a strapparla dalla sua solitudine; ci sono testimonianze di Saba, di Tobino, della Manzini, di Betocchi, di Bilenchi, di Bertolucci, di Pavese, di Zanzotto, e si viene a sapere che nel 1952 Vallecchi progettò una rivista di cui si sarebbero occupati Bo, Betocchi, Lisi e Piccioni. La rivista non andò in porto, ed è curioso che Bo abbia indicato come segretaria di redazione Vittoria Guerrini, che in seguito diventerà celebre con lo pseudonimo di Cristina Campo.Inevitabilmente le lettere che gli scrittori indirizzano al critico che ha “parlato bene” di un loro libro grondano di riconoscenti elogi, e di reciproci complimenti (soltanto Calvino e Pomilio tengono rispettosamente testa a qualche osservazione di Piccioni); il critico che pubblica quelle lettere può far venire il dubbio dell'autocelebrazione, ma non è gossip venire a conoscenza dei rapporti anche amicali che intercorrono tra gli scrittori e il loro critico (nelle prime lettere si danno del Lei, poi subentra il Tu). Del resto il critico, quando è bravo, scopre nelle opere aspetti di cui lo stesso autore non era consapevole.Valga quanto Pomilio scrisse a Piccioni dopo che il critico nel 1956 recensì non entusiasticamente Il Testimone: «Credo che per me sarà molto importante aver letto il Suo scritto; poche volte ho avuto un lettore così attento che credo abbia finito per pesare sul mio svolgimento. Voglio dire che se prima avessi avuto la fortuna di leggere uno scritto ponderato come questo – lo dico senza ombra di adulazione – invece di tanti elogi generici, quali mi vennero nella maggior parte dei casi, forse lo sviluppo della mia poetica avrebbe potuto risultare più lineare».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI