mercoledì 14 dicembre 2016
Tra gli esseri mitologici, il centauro – metà uomo e metà cavallo – è dei più simpatici, perché realizza la simbiosi con il più nobile degli animali, come si può vedere nel rejoneo, la corrida a cavallo in cui cavaliere e destriero reagiscono all'unisono, schivando e provocando. Il centauro più celebre è Chirone, che fu maestro di Achille e di altri eroi. Nella Medea di Pasolini, superbamente interpretata da Maria Callas, Chirone – tutore di Giasone – ha il volto intelligente e passabilmente equino di Laurent Terzieff, doppiato da Enrico Maria Salerno.
Sossio Giametta, massimo traduttore e interprete di Nietzsche, ha intitolato Tre centauri i tre racconti stampati dalle eleganti Edizioni Saletta dell'Uva (pp. 128, euro 12), in cui filosofia e narrativa si accostano senza fondersi, appunto come uomo e cavallo nel centauro. Nel primo racconto, «Viaggio a Valencia», Girolamo – alter ego dell'autore – si reca in quella città per pronunciare due conferenze filosofiche, il cui succo – soprattutto sui rapporti tra Nietzsche e Spinoza – occupa il maggior numero delle pagine. Tanta filosofia è agghindata da piccoli particolari quotidiani, tipo il dilemma tra rasoio a lametta e rasoio elettrico, anzi, elettronico, o il disappunto per la perdita di un bottone della giacca, fino alla soddisfazione di ritrovare il coperchietto del rasoio elettrico, che era dato per perduto. Giametta è e resta filosofo anche in veste di narratore: scrive bene, la sua prosa è scorrevole (per Kundera, "scorrevole" è un insulto), ma gli manca, del vero narratore, la felicità inventiva, la creatività fantastica; racconta quello che gli capita davvero, mentre la verità letteraria, quando c'è, è sempre congetturale. Da qui la differenza tra scrittore e cronista. Il secondo racconto («Lo zuccone») è prevalentemente epistolare. Girolamo/Giametta, in un suo libro, ha ripreso le discussioni con l'amico Giorgio, brillante economista che vive a Londra. Girolamo addebita a Giorgio di non saper cogliere le domande filosofiche fondamentali (da qui lo "zuccone"); Giorgio comprensibilmente se ne adonta, e Girolamo fa appello alla loro amicizia, però riservando a sé il ruolo di maestro, mentre Giorgio sarebbe il recalcitrante allievo. Ma la pur strana amicizia fra i due è veramente forte, e permane nonostante il dissenso intellettuale.
Nel terzo racconto, il più breve e il più denso, troviamo Girolamo alle due del mattino dell'8 marzo 2011, soddisfatto per aver scoperto che dietro sant'Agostino non c'è tanto Platone quanto Parmenide e, a colpi di Nietzsche e di Spinoza, ritiene di aver sbaragliato la filosofia agostiniana. Poi, verso le tre, tardando a prender sonno per l'eccitazione, accende il televisore e si trova di fronte alla replica di una Canzonissima 1968, con Mina e Walter Chiari, con Shirley Bassey e Mia Martini, e ne resta abbagliato: «Erano sketch e canzoni, ma l'immagine dell'uomo e della vita era stata allora esaltata come poche volte Girolamo l'aveva vista esaltata. Gli sembrò quasi di essere sotto l'effetto di una droga, ma sapeva che la vera droga era lo spettacolo della positività e creatività umana, che gli comunicava una visione della vita positiva ed entusiasmante».
Sommessamente osserviamo che quello che manca alla filosofia di Girolamo – con una strana infatuazione per Giordano Bruno – è la sistematicità di un impianto metafisico che le dia coerenza. Non si sfugge alla metafisica, per quanto si cerchi di scappare, essendo metafisica la domanda: «Perché l'essere e non il nulla?». E, pur distinguendo tra filosofia e teologia, non si può rinunciare alla Rivelazione come fonte anche per la filosofia, se si vuole trovare un senso alla vita che dia embricazione alla metafisica, alla logica, all'etica, alla cosmologia. Usando come strumento la sola ragione – fortissima come quella di Girolamo, ma pur sempre limitata – la vita è centaurica: speculazione filosofica, amicizia e quotidianità (Canzonissima compresa) restano slegate, producono malinconia e frustrazione. La ragione non potrà mai abolire il mistero.
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