domenica 19 gennaio 2020
Il luogo della memoria non è la testa. Il luogo della memoria è il cuore. Se si trattasse soltanto di ricordare, tenere a mente nozioni, mettere in ordine fatti e date, allora basterebbe una macchina ben organizzata, come qualche irriducibile materialista ritiene sia la materia grigia dentro la zucca. Ma la memoria è ben altro. Quella che tra qualche giorno rinfrescheremo, ricordando prima la Shoah e il genocidio degli ebrei d'Europa, e poi le foibe e l'esodo degli italiani da Istria e Dalmazia, coinvolge anche la coscienza, la responsabilità, l'impegno.
Non deve succedere più. Certi teneri frilli, seccati e scocciati, fanno spallucce e, a mento alto, sorridono di scherno: basta con queste "rievocazioni", sono cose passate ed è impossibile che possano accadere di nuovo. Arrivano a sibilare che la Giornata della Memoria sarebbe roba di sinistra, perché contro il nazifascismo, ed è meglio la Giornata del Ricordo perché sarebbe contro il comunismo; o viceversa, i tifosi non lesinano sforzi nel cercare di superarsi nell'idiozia. Così i morti, a migliaia e a milioni, vengono tesserati a loro insaputa per questo o quel partito, reale o immaginario. Che porcheria.
Invece può succedere ancora, la storia si ripete toccando abissi inediti, e la prova sta nel fatto che è già successo di nuovo. I tentativi di eliminazione di una minoranza sgradita non sono una rarità: negli anni Settanta i cambogiani si cannibalizzano, ammazzando centinaia di migliaia di loro fratelli colpevoli magari soltanto di indossare gli occhiali, ossia di essere pericolosi intellettuali nemici della palingenesi; nel 1994 in Ruanda in pochi giorni gli hutu massacrano 800 mila tutsi (e hutu moderati, ossia traditori); negli stessi anni vengono eliminati i musulmani di Bosnia.
Accadde ieri, è continuato ad accadere e potrebbe accadere domani, semplicemente perché un demone abita dentro l'uomo mentre la memoria latita. Ignorarlo, sottovalutarlo, disprezzarlo è la migliore premessa affinché accada di nuovo. Per aiutarci a fare memoria, nel centenario della sua nascita, niente di meglio di una piccola favola del grande Gianni Rodari, tratta dal Libro degli errori (1964). Poiché è per bambini, possiamo sperare sia compresa perfino da certi adulti. Il titolo è "Il funerale della volpe".
«Una volta le galline trovarono la volpe in mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. "È morta, è morta – gridarono le galline –. Facciamole il funerale". Difatti suonarono le campane a morto, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in fondo al prato. Fu un bellissimo funerale e i pulcini portavano i fiori. Quando arrivarono vicino alla buca la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutte le galline.
«La notizia volò di pollaio in pollaio. Ne parlò perfino la radio, ma la volpe non se ne preoccupò. Lasciò passare un po' di tempo, cambiò paese, si sdraiò in mezzo al sentiero e chiuse gli occhi. Vennero le galline di quel paese e subito gridarono anche loro: "È morta, è morta! Facciamole il funerale". Suonarono le campane, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in mezzo al granoturco. Fu un bellissimo funerale e i pulcini cantavano che si sentivano in Francia. Quando furono vicini alla buca, la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutto il corteo.
«La notizia volò di pollaio in pollaio e fece versare molte lacrime. Ne parlò anche la televisione, ma la volpe non si prese paura per nulla. Essa sapeva che le galline hanno poca memoria e campò tutta la vita facendo la morta. E chi farà come quelle galline vuol dire che non ha capito la storia».
La morale è semplice: non facciamo i polli.
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