martedì 24 aprile 2018
Una volta leggevi il "Guerin Sportivo" e magari ci trovavi un pezzo a firma di Enzo Tortora. In un ritaglio storico, rintraccio l'intervista che il giovane giornalista genovese fece al mitico portiere del Genoa Giovanni De Prà. De Prà aveva cominciato dalla porta della Spes Immacolata, con la benedizione del futuro arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, che a sua volta giocava da centravanti. Siri era figlio di una portiera e di un factotum, e suo padre pur di farlo studiare era ricorso alla sottoscrizione con i soldi donati dalle più ricche famiglie di Genova. De Prà invece studiò alla Cristoforo Colombo e il suo atletismo originava da lì: «Avevo una presa d'acciaio dovuta alla ginnastica», raccontava fiero il portiere azzurro che osò sfidare il Duce. Di ritorno da vero eroe nazionale dalle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, De Prà non solo fu l'unico degli azzurri che non mostrò il braccio destro teso al passaggio di Benito Mussolini, ma rifiutò anche di indossare l'alta uniforme. Una "prodezza" che il Duce non gli perdonò. Niente bronzo per De Prà. Una punizione alla quale, molti anni dopo, pose fine Artemio Franchi con una medaglia personalizzata. De Prà accettò, ma a una condizione: «Dopo la mia morte voglio che sia sotterrata, sotto la Nord di Marassi». Così è stato. Ma durante i lavori di restauro di Italia '90 qualcuno deve averla trovata e se l'è intascata, come prezioso cimelio da non ridare indietro alla storia.
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