mercoledì 18 settembre 2019
C'è un vino in Piemonte, esattamente nel Roero, che trent'anni fa ebbe un exploit sorprendente. Si chiama Arneis, che in dialetto ricorda l'arnese: qualcosa di secondario cioè, per cui pochi vignaioli avevano scommesso su quell'uva bianca. Però in quegli anni accadde che i sindaci dei paesi di quell'area alla sinistra del fiume Tanaro si unirono per raggiungere un obiettivo. E l'Arneis divenne l'uva più pagata d'Italia, fino a diventare un simbolo del vino bianco piemontese. Mi ha sempre colpito la storia di questo vino che quasi non esisteva e che invece ha persino superato la notorietà di un altro bianco, il Gavi, nelle cui terre invece c'erano molti litigi. Dunque la parabola dell'Arneis, frutto dell'unità di sindaci e produttori, calza a pennello dopo l'annuncio di Renzi di andarsene per la sua strada. Ed è ben strano che di fronte alle urgenze, anche economiche, anziché mettersi insieme ci si divida: a sinistra, a destra, al centro. Ovunque. Quasi che l'obiettivo sul bene comune sia sfocato, mentre vince l'autoreferenzialità. Mario Calabresi, già direttore di Repubblica, in questi giorni è uscito con un bel libro, "La mattina dopo" (Strade Blu Mondadori), dove si domanda cosa resta dopo un cambiamento improvviso che accade nella propria vita, per cui nulla sarà come prima. E – ironia della sorte – Calabresi aveva un avo, Alberto Cavadore, che con l'Arneis nel 1909 vinse una Gran Medaglia a Parigi. Per questo, nella sua "mattina dopo", anche lui è in qualche modo tornato alla terra, prendendo a cura la vigna dove il suo avo aveva prodotto quel vino, facendone uno suo, per pochi amici. E lì ha conosciuto la famiglia Almondo, che lo ha assecondato nell'immergersi in quella parabola della vite, per cui nonostante certe mattine che uno non vorrebbe, la vita va avanti. Com'è dunque la "mattina dopo" dei parlamentari appesi a un governo che garantisce loro il posto e fra poco anche la pensione, ma non il futuro? Mentre leggevo le ragioni di questa ennesima scissione nella Sinistra, dove le colpe vanno sempre divise a metà perché la gestione del potere fa parte di quelle inclinazioni umane che tengono conto di tutto, anche di chi la pensa diversamente, mi chiedevo cosa potevano pensare gli Almondo, i Bologna, i Mascarello. Insomma quei vignaioli che stanno vendemmiando e forse trovano estranei certi movimenti sussultori della politica che minacciano il valore stesso dell'unità del Paese. Una cosa è certa: la nostra democrazia ha la febbre, dopo aver preso un raffreddore cronico. E ci vorrebbe una cura per quel "giorno dopo". Mario Calabresi nel suo libro qualcosa ci dice: mettersi a lavorare, cercare una propria pacificazione interna, per scoprire che «il giorno dopo finisce quando puoi provare a guardare avanti, anche se quel davanti è molto diverso da quello che avevi immaginato».
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