domenica 18 febbraio 2018
Congo democratico e Sud Sudan. Ferite sanguinanti nel costato dell'Africa. Terre martoriate dalla povertà, dalla fame, dall'ignoranza. Dal mercato delle armi e dai bambini soldato. Sebbene il Sud Sudan nasca come Stato nel 2011, il cancro che lo uccide, una spietata guerra civile e tribale, risale ancora agli anni Cinquanta del Novecento. Ai popoli di questi due Paesi, venerdì 23 febbraio, papa Francesco rivolgerà la sua particolare preghiera in una giornata di digiuno per la pace.
Quasi sessant'anni fa, nel 1960, il continente africano si avviava verso quella che doveva essere una nuova era. Nessun cittadino nero aveva ancora avuto accesso a una università, quando si "smantellarono" le colonie bianche per dare corso al cammino per l'indipendenza nera. L'Africa di quel tempo, a sud del Sahel, registrava un livello di sviluppo eguale ai Paesi asiatici. Come la Corea del Sud, oggi ai primi posti al mondo per capacità industriale. Non esistevano guerre etnico-tribali e neppure crisi alimentare con il conseguente esodo dei popoli. Purtroppo, di quel cammino verso la libertà si fecero cannibali i patriarchi del partito unico, avide élite di affaristi e sergenti, poi fattisi generali o imperatori, dediti al monopolio della forza e del denaro. Nuovi negrieri, ovviamente con l'assistenza di chi, intanto, diceva di volersi liberare delle colonie. I nuovi cannibali arricchivano i loro conti in banca, svendendo risorse, e per contro si spalancavano le porte all'"afrodisastro".
Già da quando si chiamava Zaire, l'attuale Repubblica democratica del Congo era nota – dal 25° meridiano terrestre, viaggiando verso Est, passando per la città di Kisangani, fino alla regione dei Grandi laghi e dei vulcani – quale "scandalo geologico". Ho visitato spesso questo grande Paese, esteso più di un quarto dell'intera superficie dell'Europa continentale, sette volte l'Italia, potenzialmente tra i più ricchi al mondo, ma malato di tutto.
Viaggiare significava doversi trasferire sulle ali di vecchi "Douglas Dc-3" aerei degli anni Quaranta, perché, altrimenti, per coprire 500 chilometri di "non strade" e raggiungere la Provincia orientale di Kisangani, occorrevano almeno tre pesanti settimane in fuoristrada. Ponti, strade, infrastrutture, tutto divorato da incuria e abbandono, dove spadroneggiavano le bande armate. Si volava per chilometri sopra lussureggiante e pregiata foresta, segnata da una fitta ragnatela di corsi d'acqua, laghi, acquitrini e, soprattutto, dal grande padre, risorsa per genti che ancora cacciano con arco e frecce: sua maestà il fiume Congo, con i suoi 4.700 chilometri di acqua e, dunque, di vita.
Ma è proprio sotto una fitta vegetazione che si nasconde la maledizione che ha segnato la vita dei popoli del Congo a causa dei giacimenti di cobalto, columbite e tantalio, niobio, tungsteno, manganese, uranio (usato anche per la bomba atomica americana sganciata sulla città giapponese di Hiroshima). E poi diamanti, oro, argento, rame, stagno, zinco. E ancora il petrolio e i gas minerali, questa volta nella pancia del Sud Sudan. E poi foreste disboscate per legnami pregiati.
Ambite risorse da depredare, molte ancora da scoprire. Smisurate potenzialità, distribuite su un territorio ancora non del tutto scandagliato. Ma da decenni causa e contenzioso di questa terribile odissea di guerre, violenze, stupri, fame, malattie e povertà che negli anni hanno violato e ucciso milioni di vite innocenti. Per la prosperità di altri.
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