domenica 11 febbraio 2018
Sono le sei del pomeriggio ed è già buio pesto, di un nero demonio. Si dormirà coricandoci sulla nuda terra. E a margine del villaggio, per non disturbare gli indigeni e le loro abitudini. Con la torcia elettrica ci si aiuta a predisporre il giaciglio, mentre sul fornelletto a gas si scalda l'acqua del torrente per la minestra liofilizzata. Insetti camminanti di ogni misura, rettili striscianti e roditori curiosi. Affidiamo il nostro destino nelle mani degli uomini del villaggio, una tribù di cacciatori armati di lance e frecce. E poi al fuoco che resterà sempre acceso.
Boscaglia e radura. Siamo a tre ore e più di volo dalla città di Gulu, nel nord dell'Uganda. Prima di andare a dormire, sotto la volta stellata, armati di una bomboletta di insetticida si delimita la zona attorno al sacco a pelo, sperando di non avere messo la propria dimora sopra un nido sotterraneo di formiche o scorpioni. La notte scorre in un continuo dormiveglia disturbato da rumori e brusii sconosciuti. E dagli schiaffi che ci diamo per stroncare la tortura delle zanzare.
Le albe africane restano nel cuore. Specie se ci si risveglia immersi in un aurora ramata accanto al mondo primordiale che ti guarda attraverso gli occhi di due bambini di otto, nove anni vestiti come lo era Adamo, completamente ricoperti di cenere bianca, armati di giavellotto. Sorridenti per il loro ricco bottino di cacciatori. Dieci prelibati piccoli roditori legati con un pezzo di corda di corteccia alla cintola, e che diventeranno la loro colazione.
Nonostante le precauzioni del caso, spray e repellente, e poi la profilassi che, si sa, è solo una misura preventiva non esistendo ancora un vaccino mirato, alla fine una piccola zanzara, lo scoprirò al mio ritorno, è riuscita a inocularmi il "vermetto" del "plasmodium falciparum". In poche parole, la forma più virulenta di malaria. Febbre molto alta, 40 gradi la temperatura corporea; brividi di freddo incontrollabili, che neppure una montagna di coperte di lana riescono a riscaldare; sudorazione fredda che prosciuga i liquidi del corpo; affaticamento e dolori muscolari, testa che sembra dover esplodere e nausea. Per contrastare l'evolversi della malattia infettiva, per mia fortuna e grazie al medico dall'occhio esperto che ha capito lo stato clinico prima ancora dell'esame del sangue, mi viene fatta assumere una dose da cavallo di pasticche. La guarigione non è veloce e, comunque, non è esclusa una ricaduta negli anni a venire.
Secondo l'ultimo rapporto del "The World malaria report 2017", pubblicato dall'Organizzazione mondiale della sanità, i casi stimati nel mondo sono stati circa 216 milioni, con 445mila decessi (solo mille di meno nel 2016 rispetto al 2015), di cui 228mila erano bambini sotto i 5 anni. L'Africa è il continente con il numero più elevato di decessi, il 91% del totale mondiale, seguita dal Sud-est asiatico. Nel 2016 sono stati investiti 2,7 bilioni di dollari, in programmi di prevenzione. Hiv-Aids, tubercolosi e malaria sono le tre principali malattie connesse tra loro dalla povertà. La strada per il vaccino sembra ancora lunga da percorrere e chi studia la malaria non esclude il rischio di un ritorno della zanzara anofele anche nei territori in cui era stata debellata. Un segno che indica quanto il mondo si stia impoverendo, invece che svilupparsi in direzione equa e solidale.
P.s. La cenere sul corpo è il sistema primitivo usato per proteggersi dalle punture degli insetti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI