La lunga partita di un campione chiamato Bobby
mercoledì 11 ottobre 2017
È tempo di compleanni di sportivi d'eccellenza. Domenica scorsa un nostro campione del mondo, Antonio Cabrini, ha compiuto sessant'anni e proprio oggi un altro leggendario protagonista della storia del calcio, Bobby Charlton, ne compie ottanta. Le sue innumerevoli imprese agonistiche trovano compendio in due momenti ben precisi. Il primo fu il Campionato del Mondo del 1966 (quando ancora si chiamava Coppa Rimet) che Charlton vinse con la sua Inghilterra, in casa nello Stadio di Wembley, e che permise al signor Tofik Bakhramov di diventare il guardialinee più famoso del pianeta. Era un'epoca in cui la tecnologia applicata al calcio non esisteva e assegnare, o meno, un goal spettava solo ai tre esseri umani in giacchetta nera presenti sul campo di gioco. Capitò la più intricata delle situazioni possibili: all'undicesimo minuto del primo tempo supplementare della finale, Inghilterra-Germania Ovest, la palla calciata dall'inglese Hurst colpì violentemente la faccia inferiore della traversa, cadendo velocissima nei pressi della linea della porta tedesca, sollevando persino una nuvola di gesso. L'arbitro svizzero Gottfried Dienst non vide un bel niente e chiese lumi al suo collaboratore, l'azero Bakhramov, appunto. Il fatto è che i due non avevano nessuna lingua in comune e il guardialinee, a gesti, convinse l'arbitro a convalidare il goal che spianò la strada agli Inglesi verso la vittoria finale. Ci pensò poi uno studio a cura dell'Università di Ofxord, nel 1995 (i sudditi della Regina Elisabetta sono capaci di fair-play anche retroattivo) a dimostrare che quella palla non era entrata, ma ormai la Coppa Rimet era in bacheca da 29 anni.
Sir Charlton diventò così Campione del Mondo prima che d'Europa. Fu infatti nel 1968 che trionfò con il Manchester United, prima squadra inglese a sollevare la Coppa dei Campioni. Bobby Charlton era il capitano della squadra che vinse, anche in quell'occasione nello Stadio di Wembley e ai supplementari, contro il Benfica di Eusebio. Segnò due volte Bobby Charlton, che quella partita, tuttavia, aveva iniziato a giocarla dieci anni prima. Già, perché nel 1958, per la precisione un nevoso 6 febbraio, la squadra del Manchester United, composta da così tanti giovanissimi talenti da essere nota come Busby Babes (i ragazzini di Busby), per via del loro allenatore Matt Busby, stava tornando a Manchester dopo una partita di Coppa dei Campioni, disputata contro la Stella Rossa di Belgrado. Gli Inglesi avevano pareggiato 3-3 e si erano così, clamorosamente, qualificati per la semifinale del torneo. Insomma era un ritorno pieno di sorrisi e voglia di riabbracciare i propri cari, tanto che lo scalo a Monaco di Baviera per fare rifornimento sarebbe volato via in fretta. Invece quell'aeroplano, da Monaco, non volo via mai più. Tentò due volte di decollare, senza successo. Al terzo tentativo l'aereo pattinò su un sottile strato di neve e andò a schiantarsi sulla recinzione della pista, poi su una casa, poi su un capanno in legno dove era parcheggiato un camion zeppo di carburante, che esplose. I passeggeri erano 44, morirono in 23. Otto calciatori dello United persero la vita, nove sopravvissero. Uno di questi era colui che sarebbe diventato una leggenda del calcio inglese e mondiale, Bobby Charlton.
È difficile persino immaginare che cosa possa essere passato nella testa di quest'uomo quando vide la sua palla entrare nella porta del Benfica, dieci anni dopo. Chissà: una sorta di cerchio che si chiudeva, un destino portato a compimento. Oggi la vita straordinaria di Bobby Charlton, taglia il traguardo degli ottanta anni. Grazie al cielo lo sport custodisce storie straordinarie, basta cercarle e lasciarsi ispirare. Avrebbe potuto fermarsi prima quel gentleman. Avrebbe potuto accontentarsi del Mondiale, del Pallone d'Oro e di quel 1966 magico, ma c'era ancora qualcosa da fare: due goal nella partita della vita, nel senso letterale del termine, e un abbraccio al suo allenatore. In panchina, infatti, quel giorno c'era proprio Matt Busby, sopravvissuto anche lui alla tragedia di Monaco, orfano dei suoi ragazzi di dieci anni prima, rimasto con Bobby a ricostruire, tenacemente, quella storia leggendaria. Due uomini, quel 29 maggio 1968 di fronte a 92.225 spettatori in lacrime, avevano finalmente portato a termine una missione enormemente più grande di loro.
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