sabato 18 ottobre 2003
Uscendo dal grembo oscuro dell'ignoranza, trasalimmo alla luce della verità. Non avevo mai letto l'Apologetico che il brillante avvocato cartaginese Tertulliano, convertito al cristianesimo, compose attorno al 197. M'imbatto, così, in una frase di forte impatto emotivo, quella che appunto oggi propongo (39, 9). L'ignoranza è descritta come un grembo oscuro al cui interno si sta, sì, al buio, ma ove si è anche comodi, pasciuti e quasi inerti: tutti, infatti, sanno che la venuta alla luce è un trauma molto lacerante vissuto dal bambino. Non per nulla si è identificata persino una sindrome definita come regressus ad uterum, cioè la nostalgia del grembo materno ove tutto era assicurato dalla madre e ove non era necessario combattere per avere spazio, per scoprire orizzonti e conoscenze nuove. L'ignoranza è, quindi, agevole, gradita, pacifica. Ma questa sua quiete è per molti versi quasi cadaverica. La ricerca della verità è faticosa, fa "trasalire" perché la sua luce è impietosa e svela anche tanti angoli oscuri e sporchi, anzi, può persino far sanguinare l'anima, come aveva dichiarato già un sapiente dell'Antico Testamento, Qohelet: «Grande sapienza è grande tormento: chi più sa più soffre» (1, 18). Bisogna, allora, avere il coraggio di incamminarsi nella ricerca, si deve correre il rischio di percorrere sentieri d'altura, è necessario talora gettarsi in un mare agitato. Lo diceva molto bene il grande scrittore austriaco Robert Musil (1880-1942) quando nel suo capolavoro L'uomo senza qualità osservava: «La verità non è un cristallo che si può mettere in tasca, bensì un mare sconosciuto in cui ci si getta».
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