venerdì 8 settembre 2006
Se il Segretario Generale Onu o il Presidente del Consiglio italiano in un discorso pubblico mettessero in chiaro insistendo più volte il punto centrale della loro strategia, la ragione fondante del loro impegno, e il giorno i giornali parlassero solo delle scarpe o del foulard che nell'occasione indossavano, i giornali stessi non farebbero bene il loro mestiere. Già. Mercoledì Benedetto XVI all'Udienza ha preso spunto dalla figura di Filippo apostolo per parlare di Gesù Cristo unica piena manifestazione di Dio nella storia. E' l'essenza della fede cristiana, non esclusiva di altre intuizioni, non da imporre con la prepotenza della forza, ma da proporre con la serena coscienza di un dono ricevuto che non è privilegio, ma soprattutto responsabilità e debito verso tutti gli uomini, fratelli e figli di Dio. La fede - ha detto il Papa - non è una teoria, e neppure una sfilza di precetti morali, ma l'esperienza di un incontro di vita con Gesù Cristo morto, risorto e vivo per sempre come Redentore del mondo. Discorso importante? Certo che sì. Ebbene. Ieri in pagina i titoli: "E il Papa sfoggia il cappello estivo" ("Repubblica"), "Il Papa torna all'antico anche sul cappello" ("Il Giornale"), "Il Papa sceglie il cappello di paglia" ("Il Sole 24Ore", "Tanto di cappello Papa Ratzinger" ("La Stampa"), "I cappelli di Papa Ratzinger, dopo il camauro ecco il saturno" ("Corsera"). Potrei continuare. E del discorso? Niente! Non poco: niente! È normale o è una catastrofe professionale? Lui alza la mano indicando il Sole, luce, vita, salvezza"E loro guardano l'unghia del dito.
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