venerdì 10 aprile 2009
Si andava allo stadio, tanto tempo fa, con lo spirito e i panni della domenica. C'era la Messa, il pranzo in famiglia, eppoi papà prendeva il ragazzino e lo portava alla partita, momento di complicità che ti faceva sentire grande. Quando è toccato a me, per qualche tempo è andata bene, poi ho chiuso col "calcio in famiglia": pochi anni fa in un derby Roma-Lazio, due ore prima all'Olimpico, io e mio figlio siamo rimasti assediati all'ingresso tra la Polizia che lanciava lacrimogeni e imbecilli che si menavano e le tenevano testa.
Ecco perché l'altra sera, in tv a commentare Manchester-Porto, ho descritto come «momento magico» della partita non il gol di Rooney o il pareggio importantissimo di Mariano González, ma l'immagine di un papà tifoso dei Red Devils che sugli spalti dell'Old Trafford, mentre andava a concludersi un match vivacissimo, teneva fra le braccia unite a mo' di culla un bambino piccolissimo, poco più di un neonato, che se la dormiva beatamente mentre il Teatro dei Sogni esplodeva di passione. E che dire dei tifosi del Liverpool, che hanno continuato a cantare nonostante i loro eroi fossero sotto 3-1 in casa nel derby di Coppa contro il Chelsea. Niente retorica, giuro: solo il desiderio di rivedere onorate le tribune e le curve delle antiche "case della Passione", oggi spesso disonorate, quasi sempre infrequentabili.
Ho cominciato parlando di tempi lontani, per me 60 anni fa, e devo subito dire che il primo impedimento alla frequentazione degli stadi italiani è stato il mutar delle abitudini di vita, quello che ho chiamato "comodismo": si stava, a volte, sotto la pioggia protetti da un ombrello, sotto la neve protetti da uno sciarpone di lana (ancora senza i colori della passione). Oggi chi gira il mondo dello sport, dal Nordamerica alla Cina, dall'Europa progredita all'Australia, ha l'opportunità di godere lo spettacolo calcistico non solo con i familiari ma con tutte le comodità: posti accoglienti, bagni funzionali e puliti, entrate e uscite agevoli, visibilità ottima del campo e del gioco, cupole mobili che s'aprono o chiudono a seconda delle situazioni atmosferiche.
In Italia no. In Italia - Paese calcisticamente evoluto e orgogliosamente quattro volte mondiale - gli stadi sono antiquati, scomodi, pericolosi, adatti più alle scorribande dei violenti che al divertimento dei veri appassionati che dovrebbero soffrire solo per le sconfitte delle squadre del cuore. Per questo ho apprezzato l'insistenza di Rocco Crimi, sottosegretario allo sport, nel promuovere la ristrutturazione degli stadi italiani in vista di una possibile concessione degli Europei del 2016, richiesti dal presidente federale Abete dopo la solenne e umiliante bocciatura della precedente candidatura.
Non so se la burocrazia, che frena storicamente ogni voglia di progresso nel Bel Paese, mi consentirà di visitarli, quegli stadi, e di portarci, un giorno, magari un nipotino. Me lo auguro. Per vedere, invece, una scena come quella proposta dall'Old Trafford temo che ci vorranno lunghissimi anni di riforma culturale. Non solo sportiva. Prendo l'immagine di quel bimbo addormentato e la archivio con il titolo: "Fantascienza?".
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