domenica 28 agosto 2016
Le estati vintage, nella mente sterminata di un bambino, era visitata da figure mitologiche che solo mezzo secolo dopo acquistano il giusto rilievo, e a cui è doveroso rendere omaggio. Del Vigile dalla Mano di Ferro, implacabile con i cattivi, e di Ciondoli, un Folle che purtroppo non incontrò mai il suo Bardo, ho detto in Estate vintage uno (2014) e due (2015). Nella terza stagione è giunto il momento di celebrare il più grande, il più evanescente, colui che apparve e disparve una sola, formidabile estate qualsiasi degli anni 60 a Folgaria: il Mantovano. Di certo aveva un nome, ma nessuno lo chiamava per nome. Di sicuro aveva una professione, eppure mai nessuno ne fece cenno anche se non doveva essere lucrosa, altrimenti non sarebbe andato a pensione dai signori Rech in una semplice stanzetta. Aveva sempre un tono umile e dimesso e non diceva nulla di sé, parlava sottovoce chiedendo sempre permesso, rideva e sorrideva con parsimonia e preferiva ascoltare, chiedeva informazioni e raramente dava risposte Per questo le sue mirabolanti imprese di quella mitica estate suscitavano ammirazione ma mai invidia; tuttavia, erano imprese talmente fuori dal comune che era difficile amarlo, non essendo del tutto terrestre: era rispettato, questo sì, e stimato, eccome Il Mantovano amava fare lunghe passeggiate nei boschi. Boschi qualsiasi, il primo bosco che gli capitasse a tiro. Ora, a Folgaria tra i villeggianti si discuteva su quali fossero i "boschi da funghi", i "boschi che buttavano" e quali no; ognuno raccontava di memorabili ritrovamenti ai Francolini o alla Malga Coe. Il Mantovano zitto, anche perché era la prima volta che andava in vacanza in montagna, forse era la prima volta in vita sua che andava in vacanza Il primo giorno tornò dalla passeggiata con un cesto pieno di cose strane che fece vedere a mio padre «Non li conosco, però sembrano belli. Sono buoni?». Mio padre – raccoglitore capace di alzarsi all’aurora per arrivare alla radura prediletta prima dei fungaroli secchi e impassibili che salivano da Rovereto – strabuzzò gli occhi, sotto i quali stavano porcini grossi, grassi e tanti, tantissimi. Cominciò così la leggenda del Mantovano, che trovava porcini ovunque andasse, anche dove nessuno ne aveva trovati mai e quindi non andava più. Il Mantovano non aveva segreti. Accettava di farsi accompagnare da altri raccoglitori. Il Mantovano sussurrava: «Eccone uno qua, un altro là», mentre il suo compagno non vedeva né trovava proprio niente.La leggenda spopolava. Il Mantovano, non avendo in dotazione una cucina, riforniva di porcini freschi i fruttivendoli di Folgaria, ricavandone guadagni che dovevano essere favolosi, anche se lui restava sempre lo stesso, umile e cortese. Usciva ogni giorno e sempre tornava carico di porcini. Forse era un mago e li generava dal nulla; forse aveva sangue di gnomo o di elfo, antichi popoli alpini estinti dopo aver donato agli umani rare tracce di Dna. Il Mantovano soggiornò a Folgaria quella sola estate e nessuno trovò mai tutti i porcini che trovava lui. Donò a tutti stupore e meraviglia. E diede a me bambino una decisiva lezione: per quanto tu sia capace di imprese formidabili, non tirartela troppo, anzi non tirartela affatto. Parola del Mantovano.
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