giovedì 26 agosto 2004
Ho detto all'angelo che presiede la porta del tempio: "Dammi, ti prego, una lampada affinché, con passo sicuro, possa andare incontro all'ignoto". Ma l'angelo mi ha risposto: "Va' pure nell'oscurità e metti la
tua mano nella mano di Dio. Questa è meglio di una lampada e più sicura di una via conosciuta". A partire dal 1731 la Chiesa evangelica dei Fratelli Moravi prepara ogni anno un libro di letture bibliche quotidiane a cui si aggiunge un breve testo di meditazione, in pratica uno stimolo alla riflessione. In questo volume, edito in italiano dalla Claudiana col titolo Un giorno una parola, trovo la bella parabola cinese che ho citato. La tentazione forte è quella di cercare una lampada sulla quale regolare il nostro passo: questa immagine potrebbe rimandare alla capacità della nostra ragione, una realtà pur preziosa che Dio ci ha donato. Essa è certamente utile per rischiarare il piccolo orizzonte in cui ci muoviamo; ma non sarà mai in grado di squarciare e diradare totalmente la tenebra. Ecco, allora, l'altro simbolo, quello della mano, anzi delle due mani che s'intrecciano, raffigurazione della fede. Essa è per eccellenza un affidarsi a Dio nel tempo dell'oscurità, con la certezza che egli non darà mai uno scorpione velenoso se gli si chiede un uovo, per usare la celebre frase evangelica desunta dalla vita del deserto (Luca 11, 12). Il
rischiare più spesso, scegliendo la via diritta della verità, dell'amore e della giustizia invece di rivolgerci ai nostri calcoli e alle nostre manovre, è sorgente di pace e di serenità. Diventiamo, allora, come i bambini che mettono con fiducia la loro mano in quella del Padre.
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