giovedì 21 aprile 2022
Sarà perché racconti così bene, che ogni volta mi sembra di esserci stata anch'io...
«Dove ti ho portato stavolta, Ale?»
Negli Stati Uniti. Mi facesti una descrizione minuziosa di un evento che aveva del sovrannaturale. E che accadde una settimana dopo la tragedia delle Torri Gemelle. Ricordi? La storia del fumo che diventa demonio? Ancora mi mette i brividi.
«Sì. Me lo ricordo bene. In uno squarcio dei cumuli neri addensati nel cielo che pareva quello dell'Apocalisse, lentamente, come in una sorta di dissolvenza al contrario, apparve un volto dai tratti sfumati. Appena distinti. Un inquietante groviglio di chiaroscuri generò le sembianze di qualcosa, come l'hai definita tu, di sovrannaturale. La lenta salita nel cielo di quel simulacro denso e cupo offrì, evidentemente non solo a me che la guardavo, la netta sensazione dell'apparire del demiurgo di quella catastrofe: il diavolo. I media di mezzo mondo ci misero un attimo a diffondere quell'immagine sinistra, ma densa di significati. Annuncio e preludio contraddittorio di una guerra santa contro l'Occidente accusato di manomettere le vere ragioni della vita e della morte con la negazione della sovranità di Dio sull'una e sull'altra. Vedi Ale, le ideologie sono costate all'umanità milioni di morti. Ma, nonostante la caduta del Muro, l'umanità non ha imparato nulla. Ripete sempre gli stessi errori. La guerra dei Balcani ha visto atrocità degne del nazismo; i gulag hanno ripetuto i campi di concentramento. La violenza non è una peculiarità di questo o quel popolo, ma di questo o quel potere. La pace ingiusta, vendicativa, dettata dal vincitore a suo arbitrio, è solo un simulacro della pace. Un inganno».
Esiste secondo te un punto di non ritorno che porta diritto a una guerra?
«La guerra nei miei ricordi giovanili scese improvvisa. Come una coltre gelida e sinistra che poteva portar via al mattino chi avevi salutato la sera, senza sapere che non l'avresti rivisto mai più. La precarietà dell'esistenza e la gratitudine per una nuova alba... Indimenticabili. Le guerre, Ale, non sono mai la soluzione. Credo che l'interrogativo da porsi sempre e prima d'ogni altra decisione estrema e distruttiva, sia dove abbiamo derogato al senso di comunità. Mi tornano in mente le parole che ascoltai da Martin Luther King. Era un discorso natalizio sulla pace. L'uomo – diceva – è più che un piccolo mucchio di elettroni vorticosi. Ed è più di un filo di fumo nato da un'infinita deflagrazione. L'uomo è figlio di Dio, fatto a sua immagine e perciò va rispettato in quanto tale. Finché gli uomini non vedranno questo dovunque, finché le nazioni non se ne accorgeranno, le guerre non finiranno mai di esistere. E aveva ragione. D'altra parte, lo spettro di un terzo grande conflitto non ha mai smesso di aleggiare. Quanto a noi, possiamo cavarcela dicendo che i delitti più orrendi e perciò stesso le guerre, sono stati commessi da uomini folli, fino a sentirci quasi rassicurati dalla loro diversità. Ma sarebbe poca cosa. Andrebbero invece recuperati alcuni princìpi che caduti in disuso, hanno lentamente privato una fetta dell'umanità della coscienza di essere. A cominciare dalla sacralità dell'esistere che è un sentimento austero, il pegno con cui ci obblighiamo contro la negazione, il caos, la morte».
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