sabato 6 maggio 2017
È la corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo, recitano i messaggi pubblicitari. Ma è soprattutto la corsa che - almeno una volta nella vita - passa sotto casa di ogni italiano. Perché il Giro d'Italia, la cui centesima edizione è partita ieri da Alghero, è in fondo l'unica competizione sportiva in grado di unire in un solo straordinario affresco provincia e città, Nord e Sud, ricchi e poveri, sprinter della vita e scalatori dell'esistenza. Più di 500mila italiani - ogni giorno, per quasi un mese - saranno "raggiunti" dal Giro: quando i 200 professionisti delle due ruote avranno conquistato l'ultimo traguardo di Milano, dove il 13 maggio 1909 iniziò la sua incredibile storia, la Corsa Rosa avrà coinvolto dal vivo ben 12,5 milioni di italiani. Un record assoluto, prova d'una "forza sociale" che non ha pari nel nostro Paese.
Oggi il Giro d'Italia è (e non potrebbe essere diversamente) un fenomeno economico rilevante: lo dimostrano i budget di marketing destinati da Comuni piccoli e grandi per poter ospitare una tappa del Giro, meglio se all'arrivo, e quelli messi in campo da un gran numero di aziende-sponsor. Come vetrina promozionale e commerciale, il Giro è paragonabile ad altri eventi sportivi del massimo livello e si fonda su logiche analoghe. Ma i suoi veri valori sono fin dalle origini - e rimangono tuttora - ben altri. Rappresentano il segreto della sua eterna giovinezza: la capacità di raccontare il "meglio" della nostra identità collettiva, di essere culla e vetrina di valori che partendo dallo sport possono "migliorare" un'intera società. Basta assistere, magari dal vivo, a una qualsiasi delle tappe del Giro per vivere questi valori a fianco dei ciclisti: il senso di una "sfida permanente" che può essere vinta solo superando i propri limiti, l'idea che il vero avversario da battere siano le proprie debolezze molto più che i colleghi che indossano maglie diverse, la necessità di un gioco di squadra in cui il sacrificio dei gregari vale almeno quanto il trionfo del leader, il rapporto simbiotico tra l'uomo e una natura imprevedibile che torna a essere dominante.
Sono valori che "vivono" attraverso l'esempio del sacrificio, scolpito nei volti e nelle gambe di ciclisti pronti a dare tutto. Perché che vinca Vincenzo Nibali (come si augurano milioni di italiani) o Nairo Quintana o un outsider, rimarrà impresso nelle menti e negli occhi di tutti noi anche qualcos'altro. E sarà qualcosa di buono.
@FFDelzio
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