sabato 29 maggio 2004
La pazzia, signore, se ne va a passeggio per il mondo come il sole e non v'è luogo in cui non risplenda. La dodicesima notte, commedia in 5 atti composta da Shakespeare tra il 1590 e il 1600, è un gioco degli equivoci che si ingarbugliano coi sentimenti, anche perché alla radice c'è una donna, Viola, che si traveste dopo un naufragio con abiti maschili. Non manca, poi, il personaggio che rischia di perdere il senno ed è per questo che diventa significativa in questa confusione la battuta detta da una sorta di clown nell'atto III, battuta da noi messa a tema per la nostra riflessione. Effettivamente a guardare il panorama del mondo, l'agire dell'umanità e i risultati della società, si è fortemente tentati di condividerne l'affermazione. Non tanto perché siano moltissimi i matti singoli - certo, ce ne sono e spesso è un dramma rimosso dalla comunità civile - ma perché molteplici sono i comportamenti assurdi che vengono del tutto pacificamente accolti e persino giustificati. Nietzsche, un filosofo che approdò alla pazzia personale, non aveva del tutto torto quando nella sua opera Al di là del bene e del male osservava che «la follia è molto rara negli individui, ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola». E allora, se dobbiamo preoccuparci della malattia mentale di alcuni pochi per un impegno di umanità e di carità, dovremmo anche essere vigili su noi stessi per non accrescere il gregge corale della follia, della stupidità e dell'assurdità. Non per nulla tra i doni dello Spirito ci sono la sapienza, l'intelligenza e il consiglio.
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