martedì 4 novembre 2014
Monferrato, novembre – Alle nove del mattino nel fondo della valle la nebbia sembra indugiare, indecisa se spostare ancora pigramente le sue legioni opache, o se arrendersi al sole. Alle dieci, sulle colline il cielo è sgombro. Si distingue all'orizzonte il profilo di ogni borgo, ciascuno con il suo campanile di vedetta; nel silenzio, solo l'eco lontano di un trattore che si arrampica sulle sterrate, e gli spari di un cacciatore.Una giornata splendida, eppure così intrisa di uno spleen autunnale; che sta già nell'azzurro del cielo, non più brillante, ma come appena sbiadito. Le ombre a mezzogiorno non sono più nette e nere, e il mondo, a ben guardare, sembra tutto impallidito. Gli ultimi fiori di caprifoglio sulla siepe profumano appena, e le tre rose rimaste sul muro brillano di un rosso esangue. Struggenti le rose di novembre, come già in attesa della prima notte di gelo che le lascerà illividite.Per contro, dai pergolati fiammeggiano di porpora le viti americane, e anche rari alberi, nella selva delle chiome ingrigite, ardono di un oro acceso: ribelli all'ordine di novembre, che ingiunge di appassire e morire. Una farfalla gialla vola svagata, non sapendosi assolutamente in ritardo.Tra i filari delle vigne che pettinano il dorso delle colline mi piace allungare una mano a spigolare i piccoli grappoli dimenticati dalla vendemmia, e addentarli: buoni, asprigni e insieme dolci, come primizie di vino. È governata e mite, la campagna che ha finito la sua grande fatica; nei campi la terra polverosa sembra mendicante sotto al cielo. E i nidi rimasti sui rami spogli degli alberi, vuoti, non aspettano anche loro di rinascere? Torneranno, i migratori, torneranno; non c'è da credere al gracchiare delle nere bande di cornacchie, che ridono sguaiate.Al tramonto, che cala rapido, le rose di novembre se ne restano diritte nel buio del giardino, col loro vessillo rosso, sull'attenti. Poi, è un attimo, e anche questa notte come vapore dalla valle salirà la nebbia, e intorno, di colpo, non ci sarà più niente. Solo quell'impalpabile velo che si addensa e dissolve, e poi rinserra le fila come un esercito assediante.In questa opacità occorre un po' di fede, e di memoria. Sembrano, le colline ora, desolate e spente. Bisogna allora chiudere gli occhi e rivedere i colori di una mattina di maggio, bisogna ricordarli strenuamente. Così che, riaprendo gli occhi, si è certi che la campagna su queste colline dolci come onde non è morta: ma, semplicemente, come le è stato ordinato, dorme.
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