domenica 9 giugno 2019
Il partito che cinque anni fa vinceva con il 40 per cento si riduce alla metà. Quello che arrancava nelle retrovie trionfa. Chi appena un anno fa gioiva ora piange. Com'è possibile? Davvero la gente cambia idea così in fretta, e così tanta gente cambia nello stesso tempo? Le spiegazioni possono essere tante. Un'ipotesi è che ci ostiniamo a chiamare gruppo quello che invece è uno sciame.
Un gruppo non era facile da formare ma poi durava. Si fondava su valori, idee, obiettivi comuni. Magari acquisiti faticosamente, non da tutti assimilati allo stesso modo, ma c'erano. Un gruppo era coeso. Poteva sfaldarsi, ma lentamente. I leader contribuivano a costruirlo e poi a guidarlo, tenendolo insieme nelle crisi.
Con l'affermarsi della società di consumatori (vedi Zygmunt Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson) lo sciame prende il posto del gruppo per la sua manovrabilità superiore. Si maneggia meglio. Il gruppo si muove per obiettivi e ha una strategia per raggiungerli; lo sciame reagisce a semplici stimoli e si muove in base a impulsi elementari, come la paura e il desiderio.
La paura, l'ansia, il senso di una mancanza funzionano alla perfezione. Generano una sorda rabbia, un'aggressività malcelata, la voglia di far male e ferire. Lo sciame non ha bisogno di essere davvero aggredito. Basta, e basta sempre, che si convinca di essere minacciato per passare all'offensiva preventiva. Gli sciami, scrive Bauman, «si radunano e si disperdono a seconda dell'occasione, spinti da cause effimere e attratti da obiettivi mutevoli (...). Gli sciami non sono squadre: non conoscono la divisione del lavoro. A differenza dei gruppi veri e propri non sono più dell'unità delle loro parti».
Lo sciame può trionfare, con grande soddisfazione per chi ne fa parte, e inquietudine e stupore in chi sta fuori e si domanda: dove ho sbagliato? Forse il suo sciame non era mosso da ansie abbastanza forti. Forse il suo gruppo non ha saputo rendere desiderabili i propri antichi valori, e un antichissimo moralismo lo ha spinto a puntare il dito contro le magagne dello sciame finendo per alimentarlo, anziché creare un'alternativa che riempisse i cuori di speranza svuotandoli della paura. Forse ha pensato che bastassero la logica, il pensiero critico, la razionalità. A cui lo sciame è immune: «Per gli umani, il conforto della vita nello sciame deriva dalla fede nei numeri, l'idea che la direzione del volo è giusta perché un così gran numero di persone la segue, e che di certo tutte queste persone non potrebbero essere ingannate».
Bauman avverte che un simile sciame di consumatori (di merci, ma anche di idee, convinzioni, pregiudizi, paure e angosce reali o fittizie) non ha bisogno dell'autorità di un leader per muoversi. E allora come può un leader approfittare dello sciame e sfruttarne la massa d'urto? Probabilmente l'abilità del leader sta non nel dirigere lo sciame imprimendogli una direzione, ma nel mettersi alla sua testa facendosene guidare, assecondandone il volo e contribuendo ad accelerarlo. La "paura dell'invasione" c'era sempre stata, poco o tanto; non occorreva inventarla; era solo necessario farla diventare uno dei motori dello sciame.
Lo sciame però non è stabile. Se è assemblato sulla diffidenza dell'autorità sarà duro restarne alla testa incarnando al tempo stesso l'autorità. I legami effimeri «possono mantenere unito lo sciame per la durata del volo ma rimangono del tutto occasionali e superficiali». Il cambiamento repentino è un fatto naturale: cosa strana per chi abita nei pochi gruppi rimasti, del tutto normale per gli individui dello sciame.
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