martedì 31 dicembre 2019
Sergio Mattarella l'ha spiegato e ripetuto più volte, specie negli ultimi mesi. Ed è probabile che lo ribadirà anche stasera nel suo messaggio di fine anno a reti unificate. È un concetto semplice: fuori dall'Unione Europea, l'Italia non ha futuro. Si può criticare quanto si vuole Bruxelles e i suoi a volte incomprensibili meccanismi. Si ha diritto a contestare singole scelte, imposte talora dagli egoismi riaffioranti di stati membri dotati di forza contrattuale maggiore. Ma l'idea di seguire l'esempio inglese, di provare a fare da soli, equivarrebbe a un suicidio storico per un Paese come il nostro.
Nella "dottrina Mattarella" sull'Europa, declinata in numerose occasioni anche durante l'anno che si chiude, il punto di partenza irrinunciabile è che l'Unione "è casa nostra", non una seconda casa della quale si può fare a meno. Da ultimo, l'ha ribadito durante l'incontro con le alte cariche dello Stato per gli auguri di Natale. Pertanto conviene che, come per la dimora in cui si vive, chi la abita faccia del suo meglio per renderla confortevole e sicura, riversandovi i propri migliori talenti. E siccome gli italiani hanno «il prestigio, l'autorevolezza e l'interesse» che deriva dall'esserne soci fondatori, le nostre «potenzialità possiamo e dobbiamo investirle anche per rafforzare l'Unione europea».
L'inquilino del Quirinale non è né un sognatore né un utopista. Conosce bene i limiti, le fatiche e le lentezze della concertazione "a 27". E quando ammonisce a non illudersi che esista una via nazionale alla libertà e allo sviluppo avulsa dal reticolo comunitario, ne indica con pazienza le ragioni, invita ad allargare lo sguardo ai grandi scenari mondiali, prospetta le conseguenze di
scelte temerarie che ci portassero lontano dai tavoli negoziali di Bruxelles.
Alle smanie sovraniste ha risposto ad esempio a fine ottobre da Francoforte, quando ha fatto sue le parole di Mario Draghi, in uscita dalla Bce, sull'Europa come edificio istituzionale «che in molte aree ha permesso agli Stati membri di essere sovrani» sul serio, molto più di quanto avrebbero potuto divenire da soli. Perché «una sovranità condivisa è preferibile a una inesistente». E perché, ha aggiunto di suo, soltanto «nell'Unione risiede la tutela della sovranità» dei singoli Paesi.
In altra occasione (l'11 ottobre ad Atene, durante la riunione dei capi di Stato del gruppo di Arraiolos) gli è toccato spiegare che, davanti alla tanto deprecata crisi del multilateralismo, proprio l'Europa unita, che ne è stata nel '900 "la massima evoluzione positiva", ha un ruolo cruciale da giocare, difendendo gli organismi che ancora lo incarnano come le stesse Nazioni Unite, «messi fortemente in discussione in questo periodo».
A fine novembre invece, celebrando a Merano i 50 anni del "pacchetto" per l'Alto Adige insieme con il collega austriaco Van der Bellen, affrontava il tema delle minoranze nella prospettiva delle tutele che i singoli popoli aspirano ad avere, anche quando risiedono in confini diversi da quelli di antica appartenenza. «Nel grande ambito europeo – ha osservato – ciascun popolo sa di rappresentare una minoranza, perché l'Europa nasce composita e la sua forza consiste nel saper unire le diversità»: anzi, «la loro sintesi rappresenta la maggiore ricchezza della civiltà europea».
L'anno che si apre, dunque, può lanciare la Ue verso nuovi traguardi, come ha affermato il 24 luglio parlando agli ambasciatori italiani nel mondo: «Penso, ad esempio, alla inclusione dei Balcani occidentali, alla stabilizzazione della sponda sud del Mediterraneo, allo sviluppo dell'Africa, continente destinato sempre più ad assumere per l'Europa la veste di partner privilegiato e indispensabile». Buon 2020 al presidente Mattarella, europeista convinto e coerente.
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