venerdì 14 novembre 2008
Tema del giorno: le file, le ammucchiate. Finiscono le partite, si arroventano gli spogliatoi per le interviste. Preludio a piccole grandi risse dialettiche. I giornalisti-giornalisti, quelli col taccuino in mano e la personale domanda al mister o al giocatore per capire e spiegare (a questo servono gli affannosi minuti post partita, un approfondimento ad uso dei lettori) non esistono più. Hanno vinto le televisioni, le telecamere e i microfoni. In redazione, davanti al video, già sanno tutto prima dell'inviato sempre meno speciale.
Una diminuzione di ruolo che è arrivata a colpire anche i tecnici, spesso in fila nei tanti studi che convergono verso lo studio centrale: li si vede, spesso, ammiccare da un monitor con l'aria di voler dire qualcosa mentre gli intervistatori televisivi sono magari tutti presi dal più
forte, dal più bravo, comunque dal più interessante.
Classifica: primo Mourinho, secondo Ranieri, terzo Ancelotti, quarto Spalletti. E via così. Mentre anche un presidente rampante - ho negli occhi il patron del Toro, Urbano Cairo - aspetta mezz'ora per dir la sua e quando gli tocca se ne esce magari con una parolaccia. E il bello è che chi aspetta di più dirà di meno. Grazie grazie Allegri, Orlandi, Beretta, ci rivediamo domenica. Oddio, non sarà mica sudditanza anche questa? «Le attese sono inevitabili - dice Ilaria D'Amico, brillante direttrice del traffico dialettico su Sky -. La differenza è che in passato c'erano due o tre squadre che monopolizzavano una buona parte del tempo. Per fortuna questo è un campionato diverso, non ricordo da quanti anni non c'erano 6 squadre in tre punti e chi era comprimario oggi è un protagonista. Giustamente chiede la stessa visibilità, gli stessi spazi e il tempo è sempre lo stesso perciò si può creare un disagio. Ma anche sotto questo aspetto è meglio così».
Com'è umana, Ilaria, rispetto agli addetti ai lavori che ormai hanno dimenticato - sempre che gli sia capitato - quant'era dura la vita dello spogliatoio, quando i colleghi delle testate più importanti, o solo più prestigiose, ti passavano davanti e addirittura intrecciavano dialoghi personali ed esclusivi. lasciando i tapini e le loro domandine in fondo, col rischio d'esser scambiati per disturbatori. È vero che le tv che pagano hanno certi
diritti - come dice Matarrese - ma si ha l'impressione
che i loro cronisti siano ormai tutti zerozerosette minori, con licenza di colpire, sfruculiare e irridere.
Mi chiedo: è questo il giornalismo che ci hanno insegnato? Già in passato (passato remoto) si sono verificati piccoli terremoti nel dopo-partita. Quando nessuno pagava nessuno e il rapporto fra tecnici e giornalisti era fondato su professionalità e fair play. Nei Sessanta, a Firenze, dopo un Fiorentina-Milan, s'accese un battibecco tra Vladimiro Caminiti e Nereo Rocco, fra i mitici "Camin" e "Paron", e si fu sul punto di una rottura clamorosa. Rocco e altri tecnici chiesero all'allora presidente federale Artemio Franchi di sopprimere le interviste di fine partita. L'illuminato Franchi invitò tutti alla calma e ribadì, da una parte, i diritti dell'informazione, dall'altra i doveri dell'educazione. Fu
una buona lezione, valida per decenni. C'è qualcuno che con altrettanta saggezza (e autorevolezza) sia in grado di aggiornare la lezione dell'ultimo Granduca di Toscana?
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