martedì 28 gennaio 2014
Ho imparato a nuotare in un fiume, l'Addetta, ramo dell'Adda. Tutti allora facevamo così. Non c'erano le piscine piene di cloro e la corrente del fiume irrobustiva le braccia, nuotando. La prima volta che nuotai nel mare, grazie alla maggior spinta di Archimede provocata dal sale, mi sembrava di volare e di avere un motore per avanzare così in fretta. Quasi ogni estate annegava uno di noi perché il fiume, si sa, è "bugiardo". Così si diceva, alludendo ai gorghi, che si manifestavano presso gli slarghi o in curva. La leggenda, un po' pagana, credeva che ai dì della Maddalena, che cade verso la fine di luglio, i fiumi richiedessero che qualche giovane annegasse ed ogni anno la regola veniva rispettata. Così ho perso due compagni di scuola, così ho salvato un coetaneo che ora incrocio a volte, vestito da presidente di qualcosa. Allora ignoravo che il Piccio Bergamasco, iniziatore dell'arte moderna, amasse lasciarsi trasportare dai fiumi ed in quel modo ponendo fine alla sua pittorica genialità. Sì e no adolescente, studiai un isolotto da cui partire e, circa un chilometro e mezzo più a valle, un'ansa cui approdare. L'acqua era fredda, scendevo con la corrente facendo poco sforzo per tenermi a galla. Il silenzio totale mi consentiva di ascoltare il mio respiro scivolare sull'acqua. I pioppi, dalle due rive, chiudevano quasi il cielo, con un verde portato così in alto da sembrare un salmo visivo di lode. In curva, a gomito, mi sentii trascinato verso i gorghi intorno ai quali ruotava la direzione del flusso. Ebbi paura e mi diressi, con tutta la forza che avevo verso l'esterno. Svoltai, le cicale cantavano indifferenti. Ancora un chilometro, senza forza né respiro ed arrivai. Sentivo che qualcuno mi voleva un bene infinito.
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