giovedì 28 maggio 2020
Fase uno, fase uno e mezzo, fase due, due e un po’ di più... Il Covid 19 ha talmente cambiato le nostre vite che ormai si ragiona tutti per “passi”. Da compiere uno dopo l’altro, possibilmente anticipando un po’ quello successivo, verso il ritorno alla normalità. “Il vaccino è vicino”, ci assicurano ogni giorno, e nel vaccino sono riposte le speranze di tutti. O, almeno, di quasi tutti. Perché non si pensa che, in questa rincorsa forsennata, qualcuno – come al solito – rischia di restare ai margini. Parlo delle persone immunodepresse, o di chi come me ha la Sla, o altre patologie per le quali anche una vaccinazione può essere pericolosa se non addirittura fatale. Tanto più se in questa corsa al vaccino, con in ballo un giro di affari da capogiro (per il primo che ci arriverà, visto che si tratta di vaccinare il mondo intero) il timore, o il sospetto, che mai come in questo caso la fretta possa essere una pessima consigliera è fondato. «Di norma – mi diceva qualche giorno fa un amico medico – per arrivare a un vaccino seguendo tutti i protocolli sperimentali servono minimo da due a tre anni. Ora se a gennaio o in primavera prossima uscisse un vaccino contro il coronavirus, io in tutta onestà non mi fiderei troppo». E, devo dirlo, neppure io. Perché un eventuale errore, o anche semplicemente una “svista”, chiamiamola così per carità di patria, mi potrebbe costare molto caro. Ma davvero molto. Così per me la prospettiva, non solo immediata ma anche a lungo termine, è proseguire all’infinito con la fase 1, tenendomi il più possibile lontano da tutti. Che, alla fin fine, non è nemmeno una cosa particolarmente dura, visto che la mia vita sociale è già ridotta all’osso. Ma il fatto è che lo stesso dovranno fare, come già fanno, le persone che vivono con me. Per moglie e figlie le varie fasi sono tutte a passo ridotto, la cautela è d’obbligo, niente movide o altro, e sempre sperando che gli altri che adesso incontrano per forza di cose in numero sempre maggiore rispettino comunque le regole. Mi chiedo spesso, in questi giorni, se tanta fatica, tanta attenzione e tanti sacrifici, per cercare di tenermi lontano dal pericolo di un’infezione che per me sarebbe fatale valgano davvero la pena, vista la mia malattia. Devo rispondere in tutta franchezza? No, non credo. Ma so che dirlo non serve. (34 Avvenire.it/rubriche/Slalom)
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