La conversione del grande Liszt nella solenne ispirata «Via Crucis»
domenica 16 marzo 2008
Compositore di grido e funambolo della tastiera, dopo aver suonato di fronte a re e imperatori, frequentato le dimore più esclusive della nobiltà europea e raccolto ovazioni nelle più importanti sale da concerto del Vecchio continente, all'età di 35 anni Franz Liszt (1811-1886) decise di allontanarsi dai bagliori della vita mondana e ritirarsi nella penombra di una città di provincia come Weimar; stanco e demotivato, avvertiva la necessità di ritrovare un po' di pace e tranquillità, per fermarsi a meditare sulle grandi riflessioni che stavano scuotendo il suo animo.
Nel lungo e travagliato percorso di ascesi spirituale, che nel 1865 lo portò a ricevere gli Ordini minori in Vaticano, l'artista ungherese dedicò la maggior parte delle energie creative della sua maturità alla stesura di opere sacre. E se la parabola "pubblica" lisztiana si chiuse definitivamente con il grandioso oratorio Christus (1866), i lavori che il compositore diede alla luce negli ultimi vent'anni di vita rimangono fondamentalmente ancora da scoprire e rivalutare; come la Via Crucis per coro, cantanti solisti e pianoforte (ultimata nel 1878, ma eseguita per la prima volta solo nel 1927 a Budapest), proposta dall'etichetta Naïve (distribuita da Deltadischi) in una registrazione che vede impegnati la pianista Brigitte Engerer e l'eccellente compagine vocale Accentus sotto la direzione di Laurence Equilbey.
La salita verso il Calvario viene rivissuta dall'autore con una valenza simbolica profondamente ispirata, attraverso uno stile musicale prosciugato nell'espressione e intimamente contemplativo, che affida al coro il ruolo di commemorare le stazioni di dolore e passione vissute da Gesù, mentre al pianoforte il compito di amplificare gli stati d'animo che tali drammatici eventi suscitano nel cuore dell'ascoltatore. Senza mai tradire la proverbiale maestria di scrittura, ma semplicemente sfrondando l'aspetto più esteriore e maggiormente effettistico per aprire la strada verso una nuova coscienza, che spingerà lo stesso Liszt ad ammettere con illuminata consapevolezza: «Il compositore di musica sacra deve essere anche predicatore e prete, e dove le parole non possono bastare a esprimere il sentimento, la musica dà loro le ali e le trasfigura in suono».
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