mercoledì 29 giugno 2005
Ben a ragione Roma viene chiamata eterna, perché eterno è indubbiamente l'effetto che produce sulla coscienza. Si ama persino la sua corruzione più dell'integrità di altri luoghi.
La solennità degli apostoli Pietro e Paolo ci riporta davanti agli occhi la città di Roma. Conservo di questa città un ricordo pieno di nostalgia e non solo per ragioni religiose, essendo la sede di Pietro: là, infatti, ho vissuto più di sette anni, durante la mia giovinezza e la mia formazione teologica. Attorno a questo caput mundi si sono intessuti grandi elogi ma anche tanti luoghi comuni. Ne è specchio il famoso scrittore americano Henry James (1843-1916) che, contagiato dal "virus europeo", come egli confessava, giunse a Roma e ne parlò ampiamente nei suoi Schizzi transatlantici (1875) da cui abbiamo estratto la nostra citazione.Da un lato, c'è quel senso di eternità testimoniato sia dallo splendore dei suoi monumenti sia dalla successione petrina che ha nel Papa la sua presenza costante e viva e che rende questa metropoli quasi "trascendente", nonostante la sua pesantezza e la sua carnalità. Ma ecco, d'altro lato, l'idea di corruzione e di inerzia, connessa anche alle funzioni di capitale burocratica e politica. Idea spesso esasperata fino a diventare un cliché, un pregiudizio, anche perché corruzione e inefficienza abitano in tutte le città. Roma è, così, un simbolo vivo della nostra storia e della realtà umana, fatta di grandezza e di debolezza e quindi dotata di gloria e di luce ma anche bisognosa di conversione. È comunque suggestivo che s. Paolo dichiarasse con orgoglio di essere cittadino romano (Atti 22, 27).
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