mercoledì 16 aprile 2014
Allacciate le “cinture di solidarietà”. Questo l'“ordine” circolato tra i passeggeri di un aereo svedese in volo da Ostersund a Stoccolma determinati ad aiutare un rifugiato curdo che stava per essere rispedito in Iran, dove rischia la tortura e la pena di morte.Tutto è cominciato nella sala imbarchi. Ghader Ghalamere stava aspettando di partire per un destino cattivo: da anni vive in Svezia, dove ha una moglie e due bimbi piccoli. Per un cavillo legale non poteva più rimanere nel Paese. Aveva fatto domanda per un permesso di residenza in un altro Stato. Aveva tentato di avviare le pratiche con la Norvegia, ma niente: le autorità svedesi hanno deciso per l'espulsione. Con lui, in aeroporto, c'erano alcuni amici e parenti. Per niente rassegnati a lasciarlo andare. Hanno cominciato ad avvicinare con garbo gli altri passeggeri, spiegando loro quello che Ghader avrebbe rischiato se si fosse imbarcato per Stoccolma e, da lì, per Teheran. Tutti sono saliti a bordo. E lì, con un passaparola rapido di poltrona in poltrona, è iniziata la “rivolta”. Quando il comandante ha disposto l'allacciamento delle cinture di sicurezza per il decollo, nessuno l'ha fatto. Una protesta pacifica ed efficace: la scelta di una “cintura di solidarietà” che ha protetto il rifugiato, costringendo le autorità aeroportuali a lasciarlo a terra. Gli svedesi spiegano che la situazione di Ghalamere non cambia. Ma intanto si è creato un movimento per salvarlo dal rimpatrio. E a prendere il volo è stata solo la speranza.
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