sabato 25 settembre 2004
La sera, molto spesso, nei giorni di festa o semplicemente quando fa troppo caldo, si andrà in refettorio a bere "la carità del vino", tra l"incontro comunitario e il canto dell"Ufficio divino.Così si legge nelle cronache del monastero francese di Citeaux, cuore del monachesimo cistercense. È un bell"esempio di realismo cristiano, contro l"idea di un"ascesi dura e disumana che spesso viene associata alla vita monastica. Ci ricorda questo fatto curioso Massimo Donà nella sua Filosofia del vino (Bompiani 2003), una storia seria e divertente di questa bevanda che, tra l"altro, è centrale nel cristianesimo attraverso l"eucaristia. È suggestiva l"espressione «la carità del vino» che solleva l"afa e dà un fremito di allegria nei giorni di festa ai monaci affaticati.Cristo stesso, che non disdegnava di assidersi a mensa, viene persino accusato di essere un oinopótes, un "bevitore di vino" (Matteo 11, 19), mentre s. Paolo non esita a suggerire al fedele Timoteo: «Smetti di bere solo acqua ma fa" uso di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni» (I, 5, 23). È, questo, un aspetto significativo dell""incarnazione" e dell""umanesimo" cristiano che non riduce l"esistenza a un profilo angelicato e la spiritualità a una pura e semplice astinenza. La tradizione giudaica giungeva al punto di affermare che, alla fine della vita, saremo giudicati anche sui piaceri leciti che avremo rifiutato. Certo, la temperanza è sempre una virtù cardinale ma anche la serenità e la capacità di gustare le piccole gioie della vita sono un atto di ringraziamento al Signore, creatore di tante sorprese e meraviglie.
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