sabato 27 febbraio 2021
Secondo Edward Glaeser, considerato il "guru" delle città globali, nella ripartenza economica e sociale dopo la pandemia «avranno successo nel mondo le città dove la gente vorrà anche vivere, non solo lavorare». E nell'ambito di questo nuovo trend di sviluppo «la cultura sarà considerata ancora più preziosa, perché oggi sappiamo cosa vuol dire vivere senza». È una visione che si sta diffondendo a livello internazionale tra economisti e urbanisti e che potrebbe riguardarci molto da vicino: in una fase della globalizzazione in cui la competizione si gioca sempre più tra città e sistemi territoriali, e sempre meno tra Paesi, grazie al loro DNA le metropoli italiane hanno di fronte potenzialità di sviluppo inedite nella storia contemporanea. Anche perché questa fotografia del mondo che verrà sembra far rivivere magicamente, almeno per alcuni aspetti, una Storia che ha esaltato il genio italico: si sta prefigurando infatti una sorta di «nuovo Umanesimo», fatto di città-Stato che crescono intorno a classi dirigenti pubbliche e private con capacità di visione, competenze e cultura dell'innovazione. Oggi il nostro Paese non può vantare «città globali», secondo la definizione (profetica) creata da Saskia Sassen nel 1991 e che oggi inquadra le megalopoli che da Ovest a Est del pianeta sono capaci di attrarre idee e investimenti, talenti e competenze, reti strategiche e centri di innovazione. In questa dinamica infatti la dimensione è decisiva: sono considerate «global cities» New York, Shangai, Londra e Tokyo, che oscillano in un range compreso tra i 10 milioni e i 25 milioni di abitanti. Roma e Milano (pur nella loro diversità) avrebbero invece caratteristiche tali da proiettarle nella categoria delle «città internazionali»: aperte al mondo, attrattive di investimenti e talenti, capaci di costruire un posizionamento esclusivo a livello globale. Ma se Milano (almeno da Expo in poi) si è avviata visibilmente su questa strada, Roma rimane imprigionata in una crisi continua fatta di provincialismo, inefficienza e rassegnazione. Eppure Roma potrebbe diventare nei prossimi anni, per ogni cittadino del mondo, la «Capitale della Bellezza»: una città unica perché capace di offrire al tempo stesso l'eccellenza dell'arte mondiale e una invidiabile qualità della vita, mobilità sostenibile e tecnologie all'avanguardia nella gestione del traffico e dei servizi pubblici, un sistema universitario di primo livello e uno straordinario fermento di start up innovative. Siamo sicuri che sia solo un sogno? In realtà è una prospettiva possibile, come spiego con idee, proposte e suggestioni in "Liberare Roma" (Rubbettino). Basta che i cittadini romani lo vogliamo davvero.
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