giovedì 29 maggio 2008
IX Domenica
Tempo ordinario " Anno A

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarerò loro: "Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!". Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
La gente ascoltava Gesù e capiva. Capiva che per entrare nel suo sogno (il regno dei cieli è il mondo come lui lo sogna) non servivano lunghe preghiere, né i riti e le formule esatte dei dottori della Legge («Signore, Signore...»). Che bastava percorrere una strada più libera e più viva: «la volontà del Padre».
La gente ascoltava il giovane Rabbi e capiva che la volontà del Padre non era come gliel'avevano sempre descritta. Aleggiava tristezza quando i farisei evocavano la volontà di Dio. Era la giustificazione di tutte le tragedie, di malattie e dolori, di torri rovinate addosso ai costruttori, di sangue versato dai romani nelle mille rivolte di Giudea. Nasceva pace e fiducia quando la presentava Gesù: volontà del Padre è che nessun uomo sia solo, che fiorisca a immagine di Dio, che abbia compagni d'amicizia e di festa, che sia creativo e ostinato nell'amore. Non una spada minacciosa, ma l'annuncio che gli occhi dei suoi figli, Dio li vuole pieni di dolce speranza.
«In quel giorno» ci sarà folla davanti alle porte chiuse. Quanta gente straordinaria è lasciata fuori: profeti con parole di luce, gente che cacciava demoni, grandi taumaturghi! Ma è questo ciò che il Vangelo chiede? È dalle cose eccezionali che riconosceranno i suoi discepoli? No. Ma «se avrete amore gli uni per gli altri».
Nel nostro servizio non contano i risultati, ma quanto amore metti in ciò che fai (Madre Teresa di Calcutta). Sulla soglia dell'eterno, l'amore cerca in te qualcosa in cui specchiarsi, l'unica cosa che valga a dire Dio.
Nella parabola delle due case, la differenza tra quella che rimane salda e quella che va in rovina è tutta in un verbo solo: mettere in pratica o non mettere in pratica le parole ascoltate. Non nelle appartenenze o in belle liturgie, non in profezie o prodigi, la differenza sta nel «fare» le sue parole, nel ricrearle in me. È la crisi del «dire».
La gente ascoltava Gesù e capiva che c'è un combaciare profondo tra l'uomo e la volontà di Dio, più profondo delle parole, più delle confessioni di fede, ed è in chiunque «ha creduto all'amore» (1 Gv), e non conta se dentro e fuori le sinagoghe e le chiese. Ascolta e tieni salda la sua parola, anche se non la capisci, lascia che entri nella tua memoria come seme nel terreno: darà come frutto il combaciare con Dio, una esistenza nella consistenza.
(Letture: Deuteronomio 11, 18.26-28.32; Salmo 30; Romani 3, 21-25a.28; Matteo 7, 21-27)
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