domenica 26 agosto 2018
Nelle Sacre Scritture la vite, l'uva e il vino hanno un posto particolare, che ha dato vita a una grande tradizione letteraria e iconografica, intrecciata alla concreta quotidianità soprattutto dei popoli del Mediterraneo. Ma non sono soltanto immagini di vita contadina che ricorrono nel linguaggio evangelico, né potrebbe essere altrimenti. Una recente ricerca degli studiosi dell'università di Bari, guidata dal professor Emilio Jirillo, ordinario di Immunologia, d'intesa con i ricercatori del gruppo CREA Viticoltura ed Enologia della sede di Turi, ha ulteriormente contribuito a spiegare il senso delle metafore legate all'uva. Afferma lo stesso Jirillo: «Bucce e semi di uva nera contengono sostanze naturali, i cosiddetti polifenoli che, una volta assorbiti dall'intestino, svolgono funzioni altamente protettive nell'uomo».
Ma non basta: i richiami scritturistici della vite e dei tralci sono rivolti proprio al cuore dell'uomo. Prosegue Jirillo: «Con particolare riguardo alla funzione cardiaca,i polifenoli estratti dall'uva nera "Negroamaro"(o "Nero di Troia"), pugliese, producono un gas, il cosiddetto ossido nitrico, che svolge potente azione vasodilatante con funzione cardioprotettiva, riducendo la frequenza di incidenti cardiovascolari nella popolazione». E tutto pur senza ricorrere al vino, aggiungiamo noi. Il quinto evangelio, dunque, di cui parlava Mario Pomilio, continua ancor oggi ad essere realizzato e approfondito grazie al binomio fede-scienza, con una nuova pagina scritta dai ricercatori dell'università di Bari.
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